Dogman, il nuovo film di Matteo Garrone che si è guadagnato dieci minuti di applausi a Cannes
Dopo la parentesi internazionale ed il cast all star de Il racconto dei Racconti, Matteo Garrone torna alle origini, alla sua cinematografia più tipica e cupa, quella in cui il realismo pervade ogni singolo fotogramma, ogni singola battuta, ogni singolo personaggio.
Del Canaro della Magliana, il protagonista di Garrone porta solo il nome e l'amicizia con un ex pugile ma il film nasce da un'idea sviluppatasi a sua volta tanti anni fa, quando il regista romano si era soffermato sull'immagine dei cani che assistono all'esplosione della bestialità umana. Marcello, infatti, ha un negozio di toelettatura per cani e cura con amore i suoi clienti, dal Dogo Argentino aggressivo ma che adora l'aria calda del phon, all'enorme Alano Arlecchino cui taglia pazientemente le unghie.
Marcello, però, ha anche un amico di cui è inconsciamente succube, l'ex pugile Simone, mina vagante che terrorizza l'intero quartiere e al quale Marcello procura cocaina per “tenerselo buono”. Solo dopo l'ennesimo sopruso, l'uomo - simile egli stesso a quei cani maltrattati che, nonostante tutto, restano fedeli ai loro padroni - troverà il coraggio non di vendicarsi, sarebbe troppo banale, ma di costringere l'amico a chiedergli scusa. Perché Marcello, interpretato magnificamente da Marcello Fonte, attore calabrese visto di recente in Io sono Tempesta, è un uomo buono, che intrattiene rapporti con tutto il vicinato, che si prodiga per i suoi amici quadrupedi, che non esita a sacrificarsi per Simoncino, tanto temuto quanto idolatrato, interpretato a sua volta da un eccezionale Edoardo Pesce che, abbandonata per un attimo la commedia, diventa qui assolutamente irriconoscibile nel ruolo di picchiatore a piede libero, senza scrupoli e senza un briciolo di umanità. Innamorato della piccola figlia Alida, Marcello si piega sotto l'immensa mole di Simone fino a quando non ne può più e cerca il riscatto, nei confronti del malvivente ma anche di tutta la comunità.
In una sorta di luogo senza tempo, si compie una storia proprio per questo universale di sopraffazione, povertà, violenza e squallore fisico, morale, culturale e ambientale. Viene da dire che forse, con tutte le brutture che ci ritroviamo a vedere e leggere ogni giorno, non c'era proprio bisogno di un altro film che esplicasse tali drammatiche situazioni ma Dogman, nel suo raccontare la tragica epopea di un uomo buono e mite, fa dei dettagli, della fotografia e dello studio smisuratamente approfondito dei personaggi un lavoro ad arte, con cui ci restituisce un film che, non a caso, si è meritato dieci minuti di applausi al Festival di Cannes dove è in concorso.
La location, ad esempio, situata nella realtà vicino Castel Volturno, è un piazzale in riva al mare con un grande parco giochi in stato di abbandono: suggestivo e pauroso al tempo stesso. Uno dei luoghi per antonomasia dei film horror ma qui non ci sono mostri dalle zanne aguzze bensì uomini che cercano di sopravvivere, che portano avanti le loro attività, siano esse più o meno lecite, e che si ritrovano tutti insieme intorno ad un tavolo o su un campo di calcetto.
E i colori, volutamente cupi per rispecchiare le controversie interne del protagonista e la landa desolata in cui si svolge la vicenda, altro non fanno se non riuscire a rendere poetico e tragico il tutto, illuminando e nascondendo di volta in volta con accurati giochi di luce e ombra i volti dei protagonisti, i vicoli in cui camminano, le stanze in cui si muovono.
Un altro pregio del nono film di Garrone è che spiazza di continuo lo spettatore, inserendo nel climax di violenza psicologica piccole scene dal sapore tenero, quando non addirittura comico, vedi Marcello che divide letteralmente la cena con il suo cane, o l'ansimante bulldog cui egli stesso fa dei massaggi all'apparenza molto piacevoli.
Nel mezzo, brevi momenti di presa di coscienza incorniciati in immagini cariche di pathos, come quando Marcello esce all'alba, tenendo quattro cani al guinzaglio, e la grande piazza è sovrastata dai fulmini, o nella sequenza in cui, con il viso tumefatto dopo essere stato pestato da Simone, osserva il mare e il suo eterno movimento, cercando di fare luce nella sua vita così buia.
Ma giunti alla fine, non c'è nessuno spettatore ad osservare il suo momento di gloria, a prendere parte alla sua redenzione. Perché il destino è stato ancora una volta beffardo e crudele e il suo gesto è solo una piccola goccia nell'immenso mare in cui cercava, inutilmente, ispirazione.