Desconocido - Resa dei conti
Una mattina come tante per Carlos. Lui, una casa bellissima, una famiglia perfetta, è direttore di banca da sempre abituato a gestire persone e situazioni in crisi. Una mattina, di buon’ora e come al solito di corsa, l’uomo carica figli in macchina per portarli a scuola e proseguire verso il luogo di lavoro, dove c’è l’ennesima incombenza da risolvere. Ma una volta in viaggio, da un cellulare a bordo inizia a squillare un numero Desconocido (ovvero sconosciuto, la parola che sui nostri cellulari di norma segnala la chiamata di un numero che non abbiamo in rubrica, e che quindi con buona probabilità non conosciamo).
Lo squillo dell’ignoto interlocutore rivela subito la drammaticità, l’esplosività di quella che si rivelerà di lì a poco come una situazione kafkiana, al limite dell’immaginabile. Una situazione di crisi estrema che dall’interno dell’abitacolo del proprio SUV, metterà Carlos sempre più alle strette, condannandolo al rischio terribile di perdere tutto (casa, famiglia, lavoro) in un colpo solo. Decisioni e scelte legate al suo lavoro, alla fluttuabilità finanziaria, e alla poca trasparenza delle attività bancarie di cui si occupa da tempo, diverranno causa della tragedia che ora lo minaccia da vicino, da quel telefono a bordo, coinvolgendo inesorabilmente la sua ‘bella’ vita e i suoi affetti più cari (moglie e figli). Impossibilitato a fermarsi o a lasciare il mezzo,
Carlos dovrà mettere a frutto la sua massima capacità di gestione di crisi per salvare sé stesso e i propri cari da una possibile catastrofe.
Quello che accadeva in Locke (riuscito ‘thriller’ datato 2013 del regista Steven Knight e con protagonista assoluto Tom Hardy), dove il protagonista chiuso all’interno dell’abitacolo della sua macchina e impossibilitato a fare altro se non guidare doveva affrontare le conseguenze gravi delle proprie azioni e decisioni, accade similmente qui in Desconocido, opera prima del regista spagnolo Dani de la Torre.
La tragedia che fa irruzione all’improvviso, e senza anticipazioni, nella vita di un comune uomo borghese è infatti il nucleo nevralgico di questo thriller dalla fotografia spenta che mira a generare una riflessione accesa sulle apparenze facilmente deteriorabili delle nostre vite. La famiglia così come l’alta finanza sembrano infatti essere in Desconocido i due volti di una stessa vulnerabilità, relazioni affettive ed economiche gestite con la medesima negligenza, e destinate quindi a esplodere (o implodere) di fronte a una ‘oscillazione’ imprevista o una rivelazione di troppo.
Dani de la Torre prova a unire dunque interiorità ed esteriorità del suo protagonista Carlos (il bravo Luis Tosar), mettendo in scena un’accelerazione tanto emotiva quanto reale della sua vita, incastrandolo nell’angolo della disperazione per farne venire a galla ogni dubbio, fragilità, senso di colpa.
E se dal punto di vista prettamente visivo Desconocido funziona pur senza eccellere, è forse nella dimensione più intima e interiore che la pellicola tende maggiormente a perdere di vista sé stessa. A una prima parte a fuoco, di tensione, dove l’idea dell’improvvisa e diffusa esplosione genera immediato sconcerto, segue infatti una seconda parte dove la frenesia dell’azione fagocita tematiche e sentimenti, riducendo il film alla classica folle corsa per la salvezza.
A perdere nel confronto con il già citato Locke (entrambi costruiti sulla sottile linea narrativa di protagonisti inchiodati a un volante e testimoni – quasi - inermi del crollo delle loro vite) è infatti l’incapacità di tenere testa a una struttura psicologica preminente, messa a guida della storia dall’inizio alla fine. Meno azione e più introiezione avrebbero senz’altro giovato a quest’opera prima spagnola vincitrice comunque di due premi Goya: miglior montaggio e sonoro.