Demolition

Il dolore trasforma l’uomo. Nessuno lo sa meglio di Davis Mitchell (Jake Gyllenhaal), che in una manciata di secondi perde la moglie Julia (Heather Lind) in seguito a un incidente stradale. In Demolition di Jean-Marc Vallée l’elaborazione del lutto appare come un processo emotivo pregno di enigmaticità, in cui la posta in palio è soprattutto la costruzione di una nuova immagine di sé e del suo modo di stare al mondo.

All’inizio del film, l’occhio della macchina da presa ritrae un protagonista irrigidito e insensibile, quasi inebetito, incapace di rendersi effettivamente conto di quanto sia successo. Davis appare come schermato e protetto da una sorta di membrana impenetrabile in cui non c’è posto né per le lacrime né per turbamenti affettivi. Il personaggio evita di affrontare la realtà, replicando i gesti quotidiani con una tranquillità apparente che genera un profondo senso di disorientamento fra tutti quelli che gli sono vicini, specie nel suocero (Chris Cooper).

Arriva poi la fase successiva condensata nella frase: “Se vuoi aggiustare qualcosa, devi disfare tutto e capire cosa è davvero importante”. Davis prende il consiglio alla lettera e inizia ad attuarlo, smontando qualsiasi cosa gli capiti tra le mani: frigoriferi, computer, orologi, macchine del caffè, etc. E più tenta di distruggere e sopprimere gli oggetti posti sul suo cammino, più gli oggetti trionfano sul suo io svuotato e impoverito. La melanconia di Davis lo porta a scavarsi la fossa da solo, cadendo vittima di una serie di autorimproveri e autoingiurie. Infatti, per staccarsi dal fantasma della moglie, il neo vedovo decide di rompere “la congiura del silenzio” intorno al suo matrimonio e di guardare in faccia quella che pensa sia la verità: non amava quella donna e forse non l’aveva mai amata. Un’altra menzogna per rifiutare la cura? Accanto a lui, ad affiancarlo nella terapia del lutto, vi è Karen Moreno (Naomi Watts), operatrice di un servizio clienti dalla personalità un tantino borderline.

Il nuovo lungometraggio del regista di Dallas Buyers Club è un’opera di reificazione, che converte in un oggetto concreto, come può essere un film, il contenuto di un’esperienza astratta: la metabolizzazione della perdita di una persona cara. Il personaggio principale interpretato da un intenso Gyllenhaal è un moderno eroe senza qualità eccezionali, se non quella di smascherare la banalità conservatrice di alcune idee stereotipate, prima fra tutte l’imposizione di come “osservare il lutto” secondo l’ordine sociale.

Il dolore trasformato nell’esultanza della demolizione totale è un escamotage che Vallée reitera più e più volte e, per questo, è stato tacciato di esagerato didascalismo, oltre che di aver redatto una sceneggiatura troppo ripetitiva. Ma non è affatto così. Sequenza dopo sequenza, il regista ci pone di fronte alla necessità di interrogarsi e di sentire sulla nostra pelle il senso di smarrimento interiore che invisibilmente pervade un uomo, spingendolo a radere al suolo una cucina super accessoriata che farebbe invidia a qualsiasi casalinga di Voghera. Questo perché in Demolition amore e distruzione sono la stessa, medesima cosa: Davis non riesce inconsciamente a separarsi dall’immagine della moglie defunta, finendo con il rimanere prigioniero di un vincolo matrimoniale spezzato che ora tende a caricare di odio e di pulsioni aggressive.

Non sarà il miglior film di Vallée, ma di sicuro è un risultato interessante, che aggiorna le caratteristiche del suo linguaggio cinematografico.