Dafne – L’opera seconda di Federico Bondi premiata a Berlino 69 con il Fipresci

Dafne è una ragazza di trent’anni affetta dalla sindrome di Down. Energica e sempre in moto, Dafne vuole vivere la sua vita appieno, come qualsiasi altra ragazza della sua età. Va al lavoro, dal parrucchiere, in giro con le amiche. La morte della madre, però, porterà improvviso scompiglio nella sua vita, determinando una sofferenza in lei ancora maggiore, e porterà anche un necessario consuntivo nel rapporto con il padre, entrambi e all’improvviso costretti ad affrontare quel lutto all’interno di una loro dinamica famigliare intima e complessa. L’escursione trekking insieme sarà poi determinante nella chiarificazione e maturazione di quel legame, processi operati attraverso la confessione di alcuni ‘dettagli’ che lo hanno da sempre reso assai complesso.

Federico Bondi (regista toscano, già autore di Mar nero) porta al cinema il suo secondo lungometraggio dal titolo Dafne, premio Fipresci (assegnato dai critici internazionali) al Festival di Berlino 69. Una carrellata di immagini e momenti – tra pensieri e parole – sulla vita della Dafne del titolo (interpretata dalla dolcissima Carolina Raspanti) trentacinquenne affetta dalla sindrome di Down. Bondi inquadra e segue da vicino la bellezza di Dafne - portatrice sana di una forza e un coraggio endemici - nel suo esprimere un candore bambino nonostante sia più che adulta, e in quel suo modo unico di entrare in empatia con le persone che le stanno attorno (in padre il primis, ma anche la neo collega o le amiche). Nella cesura determinata dal lutto, ovvero la perdita della madre, la vita di Dafne farà poi un giro a 360 gradi su sé stessa, ricostruendo il rapporto con quel padre da sempre un po’ distante, forse per vergogna, e forse per la difficile accettazione di quella figlia in qualche modo inaspettata e ‘diversa’.

Eppure, nonostante la straordinaria vitalità della protagonista e il potenziale lampante della storia, Dafne-film mostra diversi punti deboli, a partire dall’utilizzo slegato delle scene che si susseguono senza dei veri e propri nessi logici, e dal fuori synch che sembra esserci tra la stessa protagonista Dafne e le sue parole. La scrittura, in questo senso, sembra aver forzato in più di un punto i dialoghi, con la conseguenza che spesso e volentieri il pensiero della giovane donna appare costruito e artificioso. La naturalezza che emerge dalla protagonista Raspanti è dunque frequentemente interrotta e spezzata dal corto circuito delle parole usate, e da un flusso linguistico che spesso scivola nell’isterismo o nell’involontariamente comico.

Un’opera dal nobile intento, dunque, ma che soffre tutta la difficoltà di gestire tematiche e realtà complesse, cui spesso risulta anche molto difficile affidare e associare le parole “giuste”.