Corleone. Ascesa e caduta di Totò “u curto” Riina
Presentato alla selezione ufficiale della 13ma edizione della Festa del Cinema di Roma, il documentario del regista bulgaro naturalizzato francese, Mosco Levi Boucault, non soltanto è un’opera eccellente, ma è soprattutto un lavoro indispensabile per comprendere a fondo quei meccanismi che si celano dietro a uno dei cancri dell’Italia: la Mafia. Diviso in due parti, Corleone - Il potere e il sangue e La Caduta, tramite un approccio antropologico, storico e politico, il film spiega con una linearità impressionante le origini e la scellerata parabola criminale di Cosa Nostra, e lo fa ponendo al centro della narrazione colui che fu il capo dei capi, Salvatore “Totò” Riina.
L’ascesa e il declino del boss di Corleone, soprannominato “ 'u curtu” per la sua bassa statura e “la belva” per la sua ferocia sanguinaria, oltre ad essere raccontati attraverso rare immagini di repertorio e vibranti testimonianze di magistrati, servitori dello Stato e avvocati, vengono qui descritte con dovizia di particolari da chi Riina lo conobbe bene: i ‘pentiti’. Per la prima volta il pubblico si troverà infatti vis à vis con Francesco Paolo Anzelmo, Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese, Gaetano Grado e Giovanni Brusca, detto lo ‘scannacristiani’. Questi uomini d’onore - come solitamente amano definirsi tra loro gli affiliati importanti dei vari clan mafiosi, ma che Giuseppe Ayala, Pm al primo Maxi Processo, giustamente chiama ‘pezzi di m...’ - si mostrano davanti alla cinepresa nascosti dietro passamontagna, occhiali da sole e guanti bianchi per svelare i segreti relativi all’accordo Stato Mafia e le mattanze da loro eseguite su ordinazione del “Dio in terra” (cit. Giovanni Brusca).
Levi Boucault riesce quindi in un’impresa mai tentata fino ad oggi: far spiegare la Mafia dai mafiosi. Il risultato di questa rischiosa operazione, che il cineasta tuttora sotto copertura ha realizzato trasferendosi in Sicilia per diversi anni, è semplicemente strepitoso. Sì, perché lo spettatore potrà quasi toccare con mano la totale incapacità di empatia che pervade le anime nere di quei macellai, bestie travestite da uomini che per rispettare il proprio aberrante codice d’onore hanno svolto azioni atroci. Ciò che traspare infatti dai discorsi dei collaboratori di giustizia è la tranquilla freddezza con cui espongono sia le loro motivazioni che i terribili atti compiuti, quasi fossero seduti al bar a chiacchierare del più e del meno. E Totò 'u curtu? Beh, finalmente il killer dei killer viene mostrato per quello che è, un assassino dallo sguardo sfuggente, un bugiardo cronico, un omuncolo assetato di potere. Ecco la vera grandezza del lavoro di Levi Boucault: smitizzare Cosa Nostra e i suoi esponenti.
Sono numerose le produzioni cinematografiche e televisive italiane che hanno trattato il tema delle mafie, eppure, dopo avere assistito a Corleone, si ha la sensazione che soltanto un occhio esterno, non legato al nostro Paese, potesse sia girare un documentario tanto potente e preciso, che spiegare con estrema chiarezza il fenomeno dei corleonesi e dell’intera organizzazione criminale siciliana. Gli interventi di Giuseppe Ayala, Francesco Accordino e Giovanni Anania, che rivelano alcune informazioni più che interessanti, le riprese d’epoca all’interno dell’aula bunker di Palermo, le strazianti fotografie di Letizia Battaglia – corpi crivellati e volti sfigurati dalle esplosioni di centinaia di proiettili - , le sequenze del confronto tra Buscetta e Riina, la ricostruzione della strage di Capaci e le scene in cui appare Borsellino (fortunatamente, le figure dei due giudici non vengono mai rappresentate in maniera celebrativa) sono amalgamate tra loro in una struttura a dir poco perfetta.
Un ringraziamento va al regista, che per motivi di sicurezza non è potuto essere presente all’incontro svoltosi a Roma, ad Arte France e alla produttrice Donatella Palermo, perché Corleone è un’opera di altissimo valore che esplora la Mafia con uno sguardo inedito e maledettamente sincero.