Cold War: Pawel Pawlikowski esegue la sinfonia di un amore negato firmando un’opera di una bellezza struggente
Sullo sfondo della Guerra Fredda, in Polonia, un affermato pianista (Viktor) si innamora, ricambiato, di una bella e giovane ragazza reclutata per il corpo di ballo/canto (Zula). La passione li travolge e provano a vivere la loro storia come chiunque. Ma le differenza d’età, di posizione sociale, sommati ai loro caratteri e alle complesse dinamiche della Polonia di quegli anni li costringeranno, loro malgrado, a ripetute separazioni e ricongiungimenti, operati in un tortuoso iter geografico che si muove senza soluzione di continuità tra Polonia, Berlino, Yugoslavia e una Parigi spiccatamente bohemien. In attesa di trovare il momento giusto per la loro storia d’amore, vivranno tutto d’un fiato i pochi frangenti che il destino sembra conceder loro.
Dopo il Premio Oscar miglior film straniero per Ida (2013) il polacco Pawel Pawlikowski presenta in concorso a Cannes un altro film che alla bellezza della forma estetica associa la forza dirompente dei contenuti. Attraverso un’opera fatta di inquadrature perfette che assomigliano più a quadri in movimento che non a vere e proprie scene di un film, il regista polacco muove le fila della sua storia d’amore bellissima e impossibile, passionale e struggente, conducendo per mano i protagonisti lungo una via crucis del sentimento. Solo ottantasette minuti che racchiudono e condensano tutta la bellezza e la disperazione – sempre assai ‘composta’ – di due anime gemelle consapevoli di aver contro le trame del loro Destino. Un Destino che, infine, si compie anche in quella sensazione di sentirsi costantemente disallineato all’altro, sempre troppo forti o troppo deboli per formare insieme un’unione perfetta.
Sullo sfondo della Guerra Fredda, in un periodo che va da fine anni ’40 a inizio anni ’60, e in una dimensione di soffocante austerità perfettamente veicolata dalla splendida fotografia in bianco e nero di Lukasz Zal, Cold War contrappone il freddo del contesto sociale e politico al calore della passione che si sprigiona dai due bellissimi protagonisti (gli ottimi Tomasz Kot e Joanna Kulig nei rispettivi panni di Viktor e Zula). Una passione evidente tanto nei momenti insieme quanto in quelli di separazione e che, nonostante tutto, esercita sui due amanti una sorta di guerra fredda del cuore, di testa a testa dei sentimenti destinato con buona probabilità a finire con un armistizio di ‘forma’.
A fare da collante all’opera, poi, si somma anche il lirismo di quella stessa musica, ma anche più in generale arte, che li ha messi una sulla strada dell’altro, e che diventa poi anche l’ennesimo elemento a suggellare il fortissimo senso artistico di quest’opera. Con uno stile e una cifra stilistica che sono oramai fortemente riconoscibili, Pawlikowski esegue la sinfonia di un amore negato, in un equilibrio sentimentale che resta in divenire e non diviene mai essere, e lo fa con una grazia e una classe che rendono questo suo film di una bellezza a dir poco struggente.