Coconut hero
Può una tematica molto seria essere affrontata sul grande schermo ricorrendo all’ironia?
Ci risponde Florian Cossen attraverso il suo secondo lungometraggio cinematografico, co-produzione tra Germania e Canada il cui giovane protagonista porta il nome di Mike Tyson, che non è affatto il noto pugile di colore. In possesso delle fattezze di Alex Ozerov, si tratta infatti un sedicenne residente nel centro di Nowheresville che, pur non essendo affatto depresso, vuole uccidersi senza sapere il perché o, forse, per la semplice intenzione di trovare un buon motivo per vivere.
Un aspetto che sembra vagamente suggerirci di accomunarlo all’Harold Chasen incarnato da Bud Cort nel cult Harold e Maude (1971) di Hal Ashby; man mano che apprendiamo la situazione familiare del protagonista, con tanto di genitori separati, e che emerge come, dietro un sorriso, si nascondano richieste importanti e drammi inespressi.
Nel corso di circa un’ora e quaranta di visione che, nel lasciar intendere che è necessario porre domande giuste per poter avere giuste risposte, arriva anche a ribadire che si è pescatore o pesce e che ciò non dipende da una questione di scelta, ma di carattere.
Mentre il veterano Udo”Suspiria”Kier arricchisce ulteriormente il buon cast nei panni di un terapista e gli splendidi paesaggi naturali dell’ambientazione di provincia sfruttata fanno da efficace sfondo al rapporto che Mike instaura progressivamente con la bella insegnante di ballo Miranda, interpretata da Bea Santos.
Con la risultante di un’operazione che rischia di apparire eccessivamente lenta nella propria evoluzione narrativa, ma che, nel complesso gradevole, finisce per individuare il suo maggiore punto di forza nell’amarissimo epilogo.
Amarissimo epilogo destinato a ricordare che bisogna apprezzare la vita e ciò che ci offre, in quanto, in un solo istante, ci potrebbe essere portata via insieme a tutti i dolori e alle sofferenze, ma anche alle gioie e ai lati positivi che non possono certo fare a meno di renderla migliore.