Climax – Il crescendo folle e lisergico di relazioni e tensioni umane
A metà degli anni Novanta, in un collegio abbandonato, venti giovani ballerini si riuniscono per una tre giorni intensiva di prove di ballo e coreografie, capitanate dalla bella Selva (Sofia Boutella). Ma quando la sessione di ballo lascia il passo alla festa serale e allo scorrere di fiumi di sangria, a poco a poco uno stato di dilagante follia s’impadronisce dell’intera comitiva. Tra proiezioni paradisiache e infernali accessi d’ira e di riso, violenza, sangue, sesso, e attraverso una dimensione corporale sottratta alle movenze eleganti e geometriche della danza e consegnata agli impulsi sgraziati e scoordinati di un isterismo collettivo, il raduno dei ragazzi seguirà un climax di smarrimento fisico e mentale che andrà verso il culmine di un’esperienza di limbo tra la vita e la morte.
L’umana via della follia
Gaspar Noè, controverso e rinomato regista argentino naturalizzato francese, non si sottrae nemmeno stavolta con il suo ultimo lavoro Climax presentato a Cannes 2018 nella sezione Quinzaine des réalisateurs, ai cliché del suo genere filmico, realizzando l’ennesima conturbante e dissacrante allegoria su un’umanità infestata dai propri peggiori incubi e dalle proprie peggiore perversioni.
Partendo da una storia vera e (ri)creando una grande metafora di comunità che si specchia nella microstruttura di un giovane corpo di ballo confinato entro le stesse mura e costretto alla convivenza, Noè insegue qui il climax di una follia generata da una presunta droga (qualcuno, non si sa chi e perché avrebbe messo dello stupefacente nella sangria) e degenerata in uno stato allucinogeno che esacerba ogni stato più folle dell’essere umano. Rabbia, impulsi sessuali e omicida, suggestioni lisergiche, ansie e paranoie, tutto converge nella panoramica onirica e destabilizzante di questo Climax sensoriale e visivo.
Con i soliti virtuosismi registici e l’uso di lunghi piani sequenza che riproducono bene il crescendo esasperato di follia, Noè passa da una randomica presentazione dei suoi personaggi (perlopiù giovani sprofondati nelle loro fisse emotive e sessuali) a una ossessiva rappresentazione dello stato di paranoia, proiettando il film verso il suo acme naturale, un inferno dei sensi. Nella rappresentazione di un convivere impossibile che diventa in breve tempo ossessione, follia e morte, Noè prova dunque a rappresentare con il suo stile lisergico le tante astrazioni e “devianze” degli esseri umani, consumate nell’incapacità di stabilire dei rapporti di reciproco consenso e reciproca solidarietà. E dunque il dilagare della follia non è altro che conseguenza stessa di un’incapacità di percepire il collettivo, sentirsi a proprio agio e in equilibrio con il prossimo.
Estremo ed attraversato dalla solita conturbante violenza psicologica, Climax è ancora una volta opera che divide e si divide creando una sorta di repulsione a livello empatico, ma anche una sottile attrazione che lavora attraverso l’inconscio di un prodotto che nel rifiuto del canone formale e linguistico trova comunque una sua via di accesso allo spettatore più smaliziato, in qualche modo capace di cogliere elementi di puro senso formale ed estetico all’interno di un quadro di degenerata e mortifera umanità.