Chi salverà le rose?
“A quel gran pezzo di merda di mio padre (con molto candore)”.
È decisamente atipica e, a suo modo, originale la dedica che apre Chi salverà le rose?, primo lungometraggio diretto dallo scrittore classe 1957 Cesare Furesi, il quale, con alle spalle diversi short, dichiara: “Pochi personaggi per parlare d’amore. Per non avere dispersione, per offrire varianti in poche analisi, per andare veloci alla meta. Un insieme assortito di vite e vissuti, ma il concetto più forte, quello che avvolge e ti porta lassù, solo due del gruppo lo conoscono, l’hanno provato, e lo provano ancora”.
Pochi personaggi tra cui il Giulio Santelia interpretato da Carlo Delle Piane, il quale, dimenticato il titolo di avvocato, trasformato il poker in una professione e dedicatosi alla sua storia d’amore con Claudio alias Lando Buzzanca, proviene direttamente da quel Regalo di Natale che, realizzato nel 1986 dal Pupi Avati che ne ha poi curato diciotto anni più tardi il sequel La rivincita di Natale, appare ulteriormente omaggiato attraverso una locandina affissa su una parete; come pure, in mezzo alle molte, quelle di Casinò di Martin Scorsese e del godardiano Fino all’ultimo respiro.
Il Giulio Santelia che, padre della Valeria incarnata dalla ex Bond girl Caterina Murino, che non vive insieme a lui e con la quale ha un rapporto conflittuale, si rende conto di aver bisogno di lei dopo che, ammalatosi gravemente il citato compagno, raccoglie tutto il proprio amore in una rosa portata ogni mattina al suo capezzale. Una situazione che lo spinge a smettere di giocare a carte e, di conseguenza, a terminare in breve tempo i soldi, trovandosi costretto a licenziare cuoca e giardiniere ed a vendere i mobili, all’insaputa dell’amato allettato.
Mentre, al di là dei veterani Philippe Leroy ed Eleonora Vallone, l’Antonio Careddu di 20 sigarette si aggiunge al ricco e ben gestito cast nei panni di Marco, nipote del protagonista e che, tra l’altro, ha ereditato da lui – ma con scarsi risultati – la passione per il poker. Però, proprio dal momento in cui la oltre ora e quaranta di visione comincia a concentrarsi su una partita affrontata dal giovane, non solo finisce per essere totalmente dimenticata la sua love story con la Elisabetta dalle fattezze di Guenda Goria, ma passa del tutto in secondo piano anche tutta la fase che vede Valeria accanto al morente Claudio.
Tanto che, prima di approdare al tragico epilogo, l’impressione è quasi quella di assistere a più film paralleli e scollegati tra loro... con conseguente, facilmente avvertibile fiacchezza di narrazione che arriva a penalizzare non poco, purtroppo, un elaborato dalla confezione comunque non sciatta nonostante il basso budget speso.