C'era una volta a... Hollywood - C’era una volta Tarantino
Ci sono voluti 4 anni, ma alla fine l’affresco tarantiniano della Hollywood che fu, vede la luce.
L’escamotage è Rick Dalton, un attore di serie western in gran voga nei tardi ‘50m che ora, alla soglia degli anni ’70, si trova a dover fare i conti con una carriera in declino e con un unico amico, la sua controfigura Cliff Booth.
A far da cornice a tutto questo la Manson Familiy, Sharon Tate e i fatti di sangue della tragica estate del 1969.
Indiscutibile la cura con cui il cineasta americano ci restituisce un affresco di un mondo ormai perduto. La Hollywood di quei tempi, come moltissime altre cose, è stata travolta dalla digitalizzazione e dalle produzioni “mordi e fuggi” che servono a soddisfare il pubblico di oggi.
I set permanenti, anche enormi, utilizzati per i western, genere dominate all’epoca, soppiantato poi da fantascienza e fantasy. Gli attori specializzati in personaggi scolpiti nella roccia senza sfumature, che potevano essere solo buoni o cattivi.
L’enorme carrozzone che girava intorno alle star, anche se non di prima grandezza.
Fantastico anche il viaggio nel tempo che ci riporta a colori e atmosfere ormai rievocati solo dalla moda vintage (anzi viene da chiedersi se il film di Tarantino non renderà di nuovo un must rennini e giacche di pelle). Accoppiamenti cromatici lisergici e grande fisicità.
Protagonisti su cui non c’è nulla da dire. Probabilmente l’ineffabile duo rappresenta al meglio lo star System delle Hollywood di oggi; solo Tom Cruise potrebbe tenergli testa, tutti gli altri sono attori anche bravissimi, ma lontani dal carisma e l’ecletticità dei due.
Tutto bellissimo, ma poi…
Che Tarantino faccia del dialogo e del montaggio la sua arma vincente è noto, ma un film deve poggiare anche su una storia. In Hateful Eight i “10 Piccoli Indiani” erano venuti in soccorso, ma ciononostante solo i veri fans sono passati indenni dalla durata e dalle numerose divagazioni.
Qui, senza nulla, resta solo lo spaccato di vita della star in declino e un po’ di bromance dei due protagonisti, senza la carica di humor.
I mille siparietti che ci restituiscono dei piccoli cameo dei divi d’epoca quali Bruce Lee o Steve McQueen, diventano un handicap, come anche gli eterni momenti di raccordo, quasi dei videoclip per i brani musicali sottostanti.
Un’opera che il regista “sente” a livello personale, ma che per questo motivo non è stata lavorata con il giusto distacco. Il film con le sue 2 ore e quaranta è una vera prova di resistenza. Almeno 50 minuti di “forbice” avrebbero potuto renderlo quanto meno abbordabile.
Così com’è e riservato al ristrettissimo gruppo dei fans di ferro.