Cell

Se l’omonimo romanzo scritto da Stephen King nel 2006 da cui parte la oltre ora e mezza di visione in questione apriva nel parco di Boston in una bellissima giornata autunnale, qui si comincia nell’aeroporto della stessa città, dove troviamo immediatamente in scena John Cusack nei panni dell’artista Clay Ridell, separato dalla moglie e che, reduce dalla vendita dei diritti delle sue strisce a fumetti per un videogioco, intende tornare nel New Hampshire dal loro giovane figlio.

Situazione destinata in brevissimo tempo ad immergersi in una delirante atmosfera proto-terrorismo dal momento in cui un misterioso segnale elettronico sembrerebbe iniziare a trasmettere a tutti i possessori di telefoni cellulari una sorta di rabbia, rendendoli pericolosamente aggressivi, ma anche spingendoli a provocare del male contro se stessi. Fino a quando - con il boss della trashissima casa di produzione Troma Lloyd Kaufman coinvolto in una fugace apparizione - il protagonista si vede costretto a rifugiarsi nella metropolitana, dove conosce il conducente Tom McCourt incarnato dallo stesso Samuel L. Jackson che, a proposito di trasposizioni cinematografiche delle opere del Re dell’horror su carta, già lo affiancò in 1408 di Mikael Håfström.

Re dell’horror su carta che, insieme all’Adam Alleca sceneggiatore del remake 2009 de L’ultima casa a sinistra, firma anche lo script dell’operazione, volta a fornire una interessante variante zombesca con annessa evidente critica all’alienazione dettata dal progresso tecnologico. Critica riguardante l’annichilimento dell’individuo e la distruzione di ciascun essere umano e di ogni personalità del pianeta attraverso quella che si potrebbe definire una guerra tra la collettività e l’individualismo, ma che, in realtà, va addirittura oltre il conflitto bellico.

E, man mano che ai due uomini in fuga si aggiungono anche la diciassettenne Alice alias Isabelle”Orphan”Fuhrman e Charles Ardai, preside di un’accademia privata per ragazzi con le fattezze del veterano Stacy Keach, ancor prima del clima dei classici film di morti viventi è quello apocalittico de La città verrà distrutta all’alba di George A. Romero ad essere in un certo senso avvertibile nelle immagini che scorrono sullo schermo.  

Peccato, però, che, quella che non possiamo certo fare a meno di interpretare come l’ennesima ottima idea sfoderata dalla magica penna di colui che ci ha regalato Cujo e Christine finisca per porsi al servizio della decisamente piatta regia di Tod Williams, dispensatrice di non poca noia (con eccesso di sequenze oniriche, oltretutto) e di un epilogo che non manca di apparire piuttosto confuso e sconclusionato.
Del resto, stiamo parlando del responsabile dell’indigeribile Paranormal activity 2.