Cattivi Vicini 2
Dopo due anni di assenza tornano i cattivi vicini Seth Rogen, Rose Byrne e Zac Efron; ma, stavolta c’è pure la new entry Chloë Grace Moretz nei panni della presidentessa di un’associazione studentesca
universitaria. Dietro la macchina da presa ritroviamo Nicholas Stoller, qui anche in veste di sceneggiatore.
In teoria, ci sarebbero tutte le carte in regola per bissare il successo commerciale del primo film, che ha incassato una cifra pari a 270 milioni di dollari al botteghino. Eppure, qualcosa nel sequel non funziona come
dovrebbe. Vediamo di capire di cosa si tratta.
Il primo Cattivi vicini era una commedia sboccata e fracassona che a uno scopo esclusivamente ludico affiancava una riflessione sul passaggio dall’adolescenza all’età matura, sublimata dall’istituzionalità claustrofobica del matrimonio e della famiglia. Il regista sfruttava l’accumulazione di situazioni plateali fino all’inverosimile con una vera e propria ossessione per tutto ciò che può apparire politicamente scorretto, non tralasciando di dedicarsi ai profluvi fisiologici dei personaggi. Nel seguito si ricorre allo stesso identico ed esasperante meccanismo. Tuttavia, stavolta il pubblico avverte che c’è meno cattiveria rispetto alla pellicola precedente, come se si volesse costruire un congegno demenziale non solo per un’élite di spettatori dallo stomaco forte. Non che le scene ispirate al cinema corporale manchino, ma almeno sono in numero minore e meno incisive.
L’apporto di Chloë Grace Moretz - giunta all’ennesimo film sbagliato della sua carriera - è soltanto quello di creare un diversivo, cambiando il gender degli studenti affittuari della casa di fronte e facendoci ridere sulla dimensione etica delle nostre convinzioni sociali, non sessiste solo di facciata. Però, il giocare con gli stereotipi è alla fine annacquato da un happy ending che mette in un angolo ogni intento dissacratorio per un catartico finale a tarallucci e vino dove ognuno riesce a trovare una dimensione confacente alla propria natura.
Alla fine, il personaggio più interessato resta il pompatissimo Teddy Sanders interpretato da Efron che, lasciata alle spalle l’esperienza della confraternita, si trova bloccato nel limbo immobile dell’impotenza, come costretto a ripetere gli stessi gesti, le stesse parole e lo stesso stile di vita di quando andava al college. Ed è proprio in questo Peter Pan assertore di valori quali il cameratismo, l’amicizia e l’esperienza comune condivisa con i compagni che continuiamo a identificarci e, insieme a lui, facciamo fatica a crescere.