Cannes 2017: The Square, il nuovo raggelante cul-de-sac di Ruben Ostlund
“The Square è un santuario di fiducia e aiuto. Un luogo entro i cui confini abbiamo tutti uguali diritti e doveri”. Così recita l’iscrizione impressa sull’opera d’arte intitolata The Square e destinata a diventare il centro nevralgico della nuova esposizione del museo d’arte contemporanea di cui Christian è lo stimato curatore. Un’opera che con il suo potente valore simbolico dovrebbe (ri)lanciare un messaggio di altruismo e solidarietà sociali, ma che darà invece il via - paradossalmente e suo malgrado – a una sequenza di eventi a dir poco controversi.
Quinto film in concorso al 70° Festival di Cannes, The Square dello svedese Ruben Ostlund è un raggelante cul-de-sac etico che muove una parabola agghiacciante sui pregiudizi e sulle discriminazioni sociali, e che parte dal classico stratagemma di una piccola goccia capace di scatenare la valanga (emotiva, etica, simbolica). Esattamente come accadeva anche in Force Majeure (anche se qui il raggio d’azione è decisamente più ampio dei confini famigliari), presentato a Cannes nel 2014 e insignito poi di numerosissimi premi, similmente anche in The Square Ostlund costruisce sul paradosso e sugli estremismi quelle congetture che servono poi a sviluppare la sua tesi di causa/effetto. La banalità di una reazione (istintiva, affrettata, irragionevole) dà infatti il via libera a una serie di eventi che portano il protagonista Christian, fino a quel momento curatore raffinato e padre accorto, a una progressiva ‘caduta’ di stile (reale, etica, emotiva, professionale). Per far passare il suo protagonista dagli abiti ‘immacolati’ del manager in carriera ai panni ‘disperati’ di chi rovista nell’immondizia e sotto una pioggia battente per la propria salvezza morale, Ostlund determina una parabola precisa ed efficace, costruita su una sceneggiatura brillante in cui l’ironia grottesca e a tratti esilarante della prima parte, lascia spazio a una seconda parte dal crescendo inquietante e sempre più raggelante. Una società vile, gretta, aggrappata con le unghie ai propri privilegi, e incapace di vedere o percepire i bisogni del prossimo suo, viene qui scandagliata in ogni anfratto, paradosso, conflitto, e mettendo di conseguenza in risalto la parte più terribile e crudele della natura umana. Un film dalla psicologia sottile, e psicologicamente ‘violento’, ricucito nella disarmante cesura di una risata che d’un tratto muta in amarezza, disagio, e in un brivido di sconcerto.
Al suo quinto lungometraggio, Ostlund realizza un film capillare, dalla scrittura funzionale, dalla regia potente, con un perfetto protagonista (Claes Bang), ed esattamente in grado di arrivare lì dove si ripromette. Una nuova acuta analisi dell’uomo e dei propri limiti, un’altra profonda incursione in quelle Forze Maggiori capaci di capovolgere (e/o smascherare) situazioni o esistenze a prima vista apparentemente ‘intoccabili’.