Cannes 2017: Le redoutable, Hazanavicius ‘decostruisce’ il mito di Jean-Luc Godard tra amore, cinema e politica.
Jean-Luc Godard e il mito complesso, controverso, e incostante dell’artista. Dopo la pausa non troppo convincente con The Search, Michel Hazanavicius torna di peso sul tema dell’arte, quella del passato, della storia del cinema, prendendo a prestito un nome di estrema risonanza come quello del maestro della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard, inquadrato nel rapporto con la di lui compagna l’attrice Anne Wiazemsky, sposata nel 1967 dopo averla diretta ne La Chinoise. Louis Garrel con i capelli radi e gli occhiali inforcati, sempre al fianco della giovanissima compagna (interpretata da una brava Stacy Martin) veste dunque i panni dell’estroso regista francese, innovatore ante litteram e che con i suoi film ha letteralmente scritto un bel pezzo di Storia del Cinema. Brillante, impegnato, solitario, schivo, appassionato, il Godard di Garrel si muove sornione a significare un’epoca piena - di politica, rivoluzioni, pensieri sovversivi, e attraversata da movimenti come il Sessantotto, il maoismo, le proteste contro la guerra in Vietnam - e nel contempo si cristallizza in un personaggio simbolico per incarnare status e condizionamenti dell’artista in quanto tale. Godard con e contro se stesso, e poi fotografato tramite gli occhi della sua giovane compagna, è il gancio metaforico che Hazanavicius getta per sottolineare la difficoltà (talvolta impossibilità) di stare al passo con il proprio successo, di mantenere viva la scintilla senza arrendersi o piegarsi al giogo del compromesso (una tesi similmente affrontata anche in The Artist). Hazanavicius racconta Godard con acume e ironia, estro e sarcasmo, componendo lungo due ore di film il ritratto di un regista osannato, talentuoso, amato, eppure insicuro del proprio posto, del proprio ruolo, tormentato dalle critiche, e ossessionato dai suoi ideali. Infine, però, è l’amore per la sua Anne a tracciarne il profilo da una dimensione più ‘umana’, e dove le idiosincrasie dell’uomo infine prevalgono sul genio dell’artista.
Hazanavicius regala al concorso del Festival di Cannes 2017 il film che non ti aspetti, irriverente e fuori dagli schemi, e che si nutre appieno del cinema in tutte le sue sfaccettature e dell’arte in generale per arricchirsi e rinnovarsi tanto nella forma quanto nei contenuti. Perché questa è la vita a bordo del Redoutable. Questa frase ricorrente e che serve anche il titolo al film, è estrapolata da una notizia radio in cui si parla proprio del Redoutable (che significa formidabile), ovvero il primo sommergibile atomico francese, inaugurato all’epoca dei fatti narrati. Un po’ un invito spassionato a prendere le cose come vengono, a non fermarsi alle apparenze, a perpetrare il gioco dell’ironia come strumento di intelligenza.
E se Godard dichiarava Adieu au langage solo qualche tempo fa in uno dei suoi ultimi film volto a decostruire il linguaggio cinematografico per estrapolarne una nuova forma, e nuove ‘teorie’, Adieu Godard sembra dire (affettuosamente) Hazanavicius in questo ritratto ironico e scanzonato in cui il maestro, la sua arte e il suo amore vengono decostruiti e riassemblati in maniera originale e intelligente dando vita a un film che non ti aspetti, dove il gioco sotteso di scardinare la forma in virtù dei contenuti sembra essere la prima grande lezione impartita da questo folle progetto pseudo-biografico. Qualcuno ha gridato allo scandalo ritenendo l’opera oltraggiosa, a tutti gli altri però ha strappato ben più di un applauso.