Bridget Jones's Baby
Bentornata Bridget Jones! Nel terzo episodio della saga, l’ironia e la leggerezza del celebre personaggio femminile nato dalla penna della scrittrice Helen Fieldig raggiungono il punto massimo dell’evoluzione, facendo di un chick flick una commedia spudoratamente divertente oltre ogni possibile immaginazione.
A distanza di quindici anni da Il diario di Bridget Jones, la regista Sharon Maguire ritrova Renée Zellweger e infila una dopo l’altra una serie sorprendente di gag esilaranti.
L’effetto non è mai sovradimensionato come invece accadeva in Che pasticcio, Bridget Jones! del 2004, dove imperava una comicità farsesca da fumetto fatta quasi esclusivamente di disastrose cadute e di stramberie varie in versione extra-large. Esiste il rischio reale che l’esito deludente del secondo film spinga il pubblico alla macchia, fatta eccezione per le fedelissime. Ma, il romanticismo di rimando e il ritmo a orologeria di Bridget Jones’s Baby pompano energia in sala, imprimendo un sorriso irresistibile sul volto degli spettatori. Certo, di quando in quando affiorano piccoli scarti di tensione ma non scavalcano più di tanto gli intangibili confini della logica.
Parecchi chili in meno compensati da qualche anno in più, la nuova Bridget Jones è vista dal “di dentro” in tutta la sua rocambolesca semplicità di donna moderna, prigioniera di un ideale di emancipazione raggiunto a metà, tanto che in una scena la nostra eroina afferma a gran voce: “Non sono una Milf, sono una Spilf!” (in inglese, “spinser” significa zitella). Eppure, i fantasmi del principe azzurro, del percorrere in abito bianco la navata e dell’orologio biologico riescono sempre a sbucare fuori in un modo o nell’altro, per quanto si provi con tutte le forze a esorcizzarli. Le femministe storceranno il naso, ma alla fine ogni donna attraversa questa fase e - proprio per questo - risulta impossibile non affezionarsi a una protagonista che ci assomiglia così tanto.
Nonostante la grande assenza sullo schermo di Hugh Grant, il suo posto vuoto è stato rimpiazzato in maniera brillante dal divo di Grey’s Anatomy Patrick Dempsey, che con il suo gigionare da miliardario innamorato riesce a sferrare colpi da maestro. Gli fa da contraltare un Colin Firth, capace di infondere nuova linfa a quel rigido tronco da damerino moderno che è da sempre il personaggio di Mark Darcy. Difficile scegliere a chi dei due indirizzare la propria preferenza: alla fine, entrambi ottengono un meritatissimo ex aequo, sebbene solo uno sarà il padre del baby del titolo.
Impareggiabile l’interpretazione di Emma Thompson che, nei panni inamidati della ginecologa Rawlings, mette in mostra tutto il suo caustico talento da cabarettista nata.