Border, storia oltre il confine

Da un film tratto dal libro di John Ajvide Lindqvist, l’autore di Lasciami entrare da cui Tomas Alfredson nel 2008 trasse l’omonimo film celebrato in molti festival, non potevamo aspettarci qualcosa di diverso di quello che abbiamo visto. Un’atmosfera surreale e straniante sin dalle prime sequenze, personaggi che celano il loro mistero in silenzi ed espressioni apparentemente marmoree, una persistente sensazione di trovarsi in un luogo sospeso nel tempo  e nello spazio.

Siamo in Svezia dove Tina è impiegata alla dogana e grazie al suo olfatto eccezionale riesce ad individuare chi si sottrae alle leggi sulle importazioni di merci. Grazie a questo senso così sviluppato percepisce il senso di colpa, la paura e la vergogna di chi le scorre davanti arrivando da un altro Paese. Questa è la premessa da cui si dipana una storia che, come per “Lasciami entrare”, ci introduce in universi inediti e sconosciuti, un viaggio interiore in chi appena percepisce questa sua peculiarità che tanto lo discosta dalle convenzioni umane, ma che, per ignoranza o paura, seppellisce dentro sé stesso.

L’opera racconta  della graduale presa di coscienza della propria identità e di quanto questo processo possa essere cruento e doloroso. Ma anche di quanto sia ineluttabile il percorso intrapreso e di come possa essere sorprendente e disorientante per lo spettatore. Sensazioni queste, che una narrazione ricca e multiforme, enfatizza con l’incedere della vicenda. Ali Abbasi, iraniano trasferitosi a Stoccolma, si aggancia a differenti stili per condurci fino ad un finale a sorpresa, ora affidandosi alle regole del mistery, ora ammiccando a film di denuncia sociale, ora tingendo la narrazione con quel crepuscolarismo così peculiarmente nordico. In questo contesto, non rinuncia ad esplicitare particolari e dettagli che centralizzano l’attenzione dello spettatore sulla domanda che aleggia sin dalle prima inquadrature: quanto si è disposti a mettere in gioco per affermare la propria diversità?

Border veleggia sul confine, per l’appunto, tra quella che convenzionalmente è deputata normalità e quel mondo immenso e inesplorato che una natura mai uguale a sé stessa crea e ricrea e nei confronti del quale proviamo un’ancestrale paura.