Bentornato Presidente, Bisio back in action
A otto anni dall'incredibile successo che Riccardo Milani ottenne con il suo Benvenuto Presidente, il testimone passa a Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi che realizzano un sequel divertente e attuale, che fa della satira la principale chiave di lettura.
Bentornato Presidente si presenta infatti come una parodia dell'attuale governo, che a dirla tutta, tanto parodia non è, perché riproduce talmente fedelmente e dettagliatamente le persone cui è in mano il nostro paese, da risultare, a conti fatti, un ritratto acuto e tragicomico.
Ma partiamo dall'inizio: Peppino Garibaldi, nomen omen, era diventato Presidente della Repubblica per puro caso e con immenso successo. Voleva cambiare l'Italia e con la sua onestà ed integrità aveva fatto innamorare la bella e talentuosa Janis – prima Kasia Smutniak, ora Sarah Felberbaum -: a mandato concluso, è tornato sui suoi amati monti ma sua moglie soffre la solitudine della vita di montagna e da un giorno all'altro torna a Roma, portando con sé la figlia Guevara.
Dopo l'iniziale depressione, che lo porta a diventare un taglialegna assatanato, Peppino decide di tornare alla politica per riprendersi la donna che ama e si ritrova nel bel mezzo della formazione del nuovo governo...nuovo in tutti i sensi, perché c'è un Presidente della Repubblica, ci sono i leader dei due partiti che hanno vinto le elezioni ma manca il premier.
E quando Peppino passa dal Quirinale per prendere la figlia, i giornalisti lo vedono, lo riconoscono quale amato ex presidente e non ci mettono molto ad immaginarlo come papabile Presidente del Consiglio. E' fatta. Per Peppino è pronto un incarico che lo terrà vicino alla sua amata Janis.
Sarà "un'ameba, un burattino nelle mani dei due vicepremier"...e per quanto lo sceneggiatore Fabio Bonifacci dica di essersi liberamente ispirato ai politici del momento ma di essersi concesso molti margini di invenzione e libertà, è ben chiaro che il malcapitato Bisio interpreta Conte mentre a Paolo Calabresi, eccezionale, spetta il ruolo di Salvini, più rabbioso e invasato che mai, e al giovane Guglielmo Poggi, faccetta da bravo ragazzo, tocca quella, giustappunto, di Di Maio.
A chiudere il quadro, l'unico faro di compostezza e competenza, ovvero Mattarella, il cui alter ego è affidato al bravissimo Antonio Petrocelli. Anzi no, fermi tutti, ovviamente c'è anche Renzi, per l'occasione più snob che mai, interpretato dall'ottimo Marco Ripoldi, che resta sveglio fino a notte fonda con i suoi compagni, per la semplice scelta del nome del partito.
Le premesse per fare un film di successo, ci sono tutte; dal cast, all'ambientazione, fino all'attualità, gli ingredienti per realizzare un prodotto accattivante per il pubblico sono ben amalgamati e supportati da uno stile vivace e brioso che fa largo uso del montaggio alternato e che sfrutta la musicalità di certi brani per enfatizzare le sequenze più dinamiche.
Ogni personaggio è ben delineato e la sceneggiatura, in primis, si avvale di dialoghi brillanti, attuali e squisitamente cinici. Tra un battibecco e l'altro, tante piccole, grandi verità: la prima è senz'altro quella cui dà voce la Felberbaum: “Le due parole che ogni donna desidera sentire, <hai ragione>”. E qui ci starebbe bene un emoji che si sbellica dalle risate. Parole sante, davvero. Altro che un banale “ti amo”.
Poi ci sono le frecciatine politicheggianti come “la lotta alla mafia non porta voti” oppure la descrizione lapidaria del pensiero politico attuale: “se sei di destra cacci i neri, se sei di sinistra fai sposare i gay”. Per finire con la splendida trovata del movimento No tax, che insorge in seguito alla decisione del neo premier di far pagare le tasse a tutti, nessuno escluso. Paradosso vuole che mezza Italia si ribelli al grido di:”Noi non paghiamo le tasse”. Ed è una situazione che potrebbe verificarsi, senza ombra di dubbio. Perché noi italiani siamo così, paradossali, nel bene e nel male.
Il personaggio interpretato da Claudio Bisio si fa da un lato portavoce del pensiero di quei cittadini che tuttora sperano nell'onestà e nel buon senso dei politici, per riportare in auge un paese allo sbando, in cui i governanti sono tutti presi da selfie, social network, like, shit storm e chi più ne ha, più ne metta. Quanto insomma di più lontano da quello che dovrebbe essere il loro mestiere.
Ma dall'altro lato, la sua richiesta, mentre guarda direttamente in camera, è sfacciata, quasi supplichevole anche: “Pensate agli italiani uniti. Non è utopia, è follia, ma si può. Eh, che ne dite?” E qui, altro che emoji, quasi quasi ci scappa la lacrimuccia. Perché l'unione di un tempo sembra ormai scomparsa. L'italiano medio si è incattivito mentre prima eravamo il popolo dei bonaccioni. L'involuzione si è propagata ovunque, ha colpito ogni ambito della società e una grande moltitudine di compatrioti.
L'Italia poteva essere grande ma è alla deriva. E i registi hanno preso spunto proprio da questo momento di grande confusione politica e sociale per raccontare una storia forse surreale ma nel profondo ricca di speranza. Speranza di un paese migliore, di un popolo migliore, di un governo migliore. Ma dal finale a sorpresa – mi raccomando, non andate via subito -, sembra proprio che di speranza non ce ne sia affatto. A meno che...