Autopsy
Pare si siano ispirati a Repulsione (1965) e Il coltello nell’acqua (1962) di Roman Polanski gli sceneggiatori Richard Naing e Ian Goldberg per dare corpo alla vicenda dell’esperto medico legale Tommy Tilden, che, interpretato dal Brian Cox di Manhunter – Frammenti di un omicidio (1986), gestisce un obitorio in Virginia insieme al figlio Austin, ovvero l’Emile Hirsch di Into the wild – Nelle terre selvagge (2007). Vicenda che li vedrebbe tranquillamente impegnati a portare avanti il loro lavoro se, provvisto di un caso di emergenza, lo sceriffo locale non si presentasse presso la struttura con il cadavere di una donna sconosciuta, ritrovato in un seminterrato in seguito ad un pluriomicidio e manifestante i connotati della Olwen Catherine Kelly di Darkness on the edge of town (2014).
Cadavere che ribattezzano Jane Doe e che, perfettamente conservato all’esterno, scoprono essere stato smembrato e presentare internamente cicatrici e bruciature; portandoli a cercare di capire cosa effettivamente sia accaduto alla vittima e spingendo, allo stesso tempo, il pubblico a porsi i primi interrogativi nel corso della oltre ora e venti di visione. Interrogativi ai quali viene fornita una difficilmente intuibile risposta soltanto una volta giunti alla rivelazione finale di Autopsy, che il norvegese André Øvredal – autore del found footage in salsa fantastica Trollhunter (2010) – costruisce sfruttando un’unica claustrofobica location al chiuso, generando raccapriccio e spavento in maniera sempre diversa. Perché, distaccandosi dal cinema horror made in USA di facile intrattenimento giovanile, prima dispensa disgusto attraverso la sanguinosa asportazione degli organi interni che sembra quasi richiamare alla memoria l’autopsia vista in Buio omega (1979) del nostro Aristide Massaccesi meglio conosciuto con lo pseudonimo di Joe D’Amato, poi comincia a far salire la tensione trasmettendo una certa sensazione d’assedio in cui si ritrovano i due protagonisti.
Assedio da parte di chi o cosa non lo sappiamo, sebbene nelle tenebre qualcuno si aggiri e s’intraveda minaccioso e spaventoso, ricordando vagamente alcuni momenti del barkeriano Hellraiser (1987) e lasciando pensare a chissà quale presenza ultraterrena.
Arricchendo uno spettacolo di paura piuttosto prevedibile per quanto riguarda i momenti che dovrebbero far balzare lo spettatore dalla poltrona e rivelandosi efficace in ciò, di conseguenza, soltanto sui profani del genere; ma ottimamente confezionato e in grado, pur senza eccellere, di coinvolgere a dovere senza lasciare delusi, fino allo scorrimento dei titoli di coda.