Angoscia: notti inSonny!
Sebbene il titolo Angoscia possa richiamare alla memoria – almeno nello spettatore maggiormente attento a tutta la Settima arte di genere esistente – l’omonima pellicola diretta nel 1987 dal compianto cineasta catalano Bigas Luna, la circa ora e mezza di visione in questione non ha assolutamente nulla a che vedere con quel thriller dal sapore fortemente metacinematografico a base di omicidi consumati all’interno di una sala di proiezione e, contemporaneamente, sullo schermo.
Debutto dietro la macchina da presa per il Sonny Mallhi che è stato, tra l’altro, produttore esecutivo di The strangers di Bryan Bertino e Hates – House at the end of the street di Michael Tonderai, Angoscia apre all’insegna della tragedia per immergersi immediatamente in una tranquilla (almeno in apparenza) provincia americana che, se da un lato non appare tanto dissimile rispetto a quella in cui David Lynch ha ambientato la sua popolare serie televisiva I segreti di Twin Peaks, dall’altro non può fare a meno di ricordare lo scenario di alcuni dei migliori racconti nati dalla penna di Stephen King.
Provincia in cui la Ryan Simpkins di A single man viene calata nei panni della adolescente Tess, sofferente fin da piccola di depressione e disturbi comportamentali ed appena trasferitasi insieme alla madre nella zona, dove fa anche conoscenza con la Sara alias Karina Logue che ha perso la figlia in un incidente. Figlia con cui la ragazza sembra cominciare a stabilire uno strano legame, tanto che la lenta evoluzione della vicenda – a quanto pare ispirata a fatti realmente accaduti – non fatica a conferire allo spettatore l’impressione di trovarsi dinanzi ad un dramma familiare infarcito di elementi horror.
Del resto, non poggia affatto sul sensazionalismo da effetto sanguinolento e su mostruose creature soprannaturali quello che, impreziosito dai cupi toni della fotografia a cura di Amanda Treyz, la rinomata rivista americana di terrore su celluloide Fangoria non ha esitato a classificare in qualità di film di paura più raccapricciante e significativo uscito negli ultimi tempi.
Perché, con diversi aspetti che lasciano tranquillamente immaginare possano aver influenzato l’Annabelle 2: Creation messo in piedi più tardi da David F. Sandberg (si pensi soltanto alla disgrazia di apertura e alle contorsioni del corpo), è la desolata e tutt’altro che metropolitana atmosfera (a suo modo funerea) a rappresentare, da sola, l’ingrediente affascinante di un’operazione indipendente in aria di allegoria in fotogrammi relativa alle difficoltà della crescita. Operazione non eccelsa ma che, aiutata soprattutto dalle lodevoli performance delle protagoniste, tra ombre ed immancabili balzi sonori può lasciare tranquillamente soddisfatti coloro che sono alla ricerca di suggestioni psicologiche, senza pretendere gli eccessi del blood’n’gore.