Amityville – Il risveglio: demoniache presenze reboot

Prima che ci si sposti a quarant’anni più tardi, si comincia con un servizio giornalistico datato 1974 e riguardante una strage avvenuta presso una villa al numero 112 di Ocean Avenue, nella cittadina costiera di Amityville. Villa che fu, a quanto pare, realmente teatro dell’uccisione di un’intera famiglia; tanto che Jay Anson vi si ispirò nel 1977 per scrivere il suo romanzo Orrore ad Amityville, trasformato due anni dopo nel lungometraggio cinematografico Amityville horror di Stuart Rosenberg, coronato da un successo tale da generare una delle saghe più longeve della celluloide di paura.

Lo stesso lungometraggio che, insieme al remake interpretato nel 2005 da Ryan Reynolds e al prequel Amityville possession di Damiano Damiani, compare in edizione dvd nel corso dei circa ottantacinque minuti di visione in questione; suggerendo in maniera simpaticamente metacinematografica, di conseguenza, che non ci troviamo né dinanzi ad un rifacimento, né alle prese con un nuovo capitolo del popolare franchise.

Con la giovane Belle alias Bella Thorne a fare da nuova inquilina dell’abitazione maledetta affiancata dalla madre Joan, dalla sorellina Juliet e dal fratello in coma James, ovvero Jennifer Jason Leigh, McKenna Grace e Cameron Monaghan, quindi, è di un reboot in aria di allegoria relativa all’eutanasia che possiamo tranquillamente parlare per definire Amityville – Il risveglio, diretto dal Franck Khalfoun cui dobbiamo l’ottimo thriller – 2 Livello del terrore e la lodevole rilettura 2012 del violentissimo Maniac di William Lustig.

Reboot destinato ad evolversi con la protagonista che, evitata e presa in giro dai compagni di scuola, comincia a scoprire i retroscena riguardanti la vecchia casa coloniale e la presenza di qualcosa di maligno grazie all’amico Terrence, incarnato dal Thomas Mann di Kong: Skull island, nonché elemento che tanto rispecchia il teen horror in voga negli anni Ottanta. Un personaggio che appare immediatamente fondamentale ai fini dello sviluppo del plot, ma che, come pure quello del dottor Milton dalle fattezze del veterano Kurtwood”Robocop”Smith, la sceneggiatura – a firma del regista stesso – sembra perdere inspiegabilmente strada facendo.

Un difetto di sicuro non trascurabile all’interno di un’operazione che, tra incubi, visioni ed improvvise apparizioni atte a far balzare lo spettatore dalla poltrona per merito anche del sempreverde utilizzo del sonoro, approda ad un massacro pre-epilogo guardante in maniera evidente alla citata pellicola di Damiani.

Perché, senza dimenticare neppure di tirare in ballo le mosche quali immancabile testimonianza amityvilliana del male incombente, Khalfoun non si limita altro che a rimescolare le carte nel chiaro tentativo di confezionare nella maniera più professionale possibile l’ennesimo tassello di una serie che, fin dal capostipite, non ha mai goduto di risultati particolarmente memorabili.

E, con la tematica della famiglia volta a fare i conti con il proprio allontanamento da Dio, sforna un guardabile episodio non privo di fiacchezza per quanto riguarda la lenta narrazione, ma che, comunque, potrebbe lasciare sufficientemente soddisfatti coloro che scoprono soltanto ora le terrificanti vicende di casa Amityville.