Alps: quando il cinema raggiunge vette altissime, ma non per tutti i gusti.

Dopo il successo di The Lobster, diretto da Yorgo Lanthimos nel 2015, anche Alps, che nel 2011 alla Mostra Cinematografica di Venezia si è aggiudicato il Premio Osella per la miglior sceneggiatura, ha finalmente trovato una distribuzione italiana. Film straniante, al limite dell’assurdo, di non facile interpretazione e infarcito di humor nero e paradossi, Alps ha la rara capacità di bypassare le corde del cuore per raggiungere direttamente le sinapsi cerebrali e farle lavorare a ritmo vertiginoso. La storia narra dell’organizzazione Alps e dei 4 individui che la compongono: un’infermiera, un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore che, dietro compenso, interpretano la parte di persone decedute per aiutare i parenti di queste ultime ad elaborare il lutto.

La messa in scena di Lanthimos è talmente agghiacciante e asettica che non vi è spazio per la commozione, il fulcro su cui ruota l’intera opera non sta infatti nel dolore causato dalla perdita di un figlio o di un proprio caro, elementi questi che servono essenzialmente ai fini narrativi, ma è dato dalla ‘finzione nella finzione’. In questa aberrante rappresentazione in cui tutto diviene ciclica ripetizione di ruoli fittizi, il cineasta ellenico costruisce uno splendido film empaticamente disturbante, dove l’alienazione dei sentimenti e la glaciale freddezza dei personaggi trascina lo spettatore in un’atmosfera torbida, grottesca, eppure incredibilmente fascinosa. La metafora che Lanthimos offre è quella dell’identità perduta. Troppo spesso si è infatti costretti a indossare maschere e ad agire come burattini, finendo così per vivere una vita falsa e teatrale: un palcoscenico da cui, pur volendo, non si è più in grado di scendere.

Il vuoto esistenziale che riempie l’anima dei 4 protagonisti viene colmato soltanto grazie alle loro recite, come se al di fuori di quei panni non fossero nessuno. Prova di ciò è il personaggio principale, un’infermiera di circa 30 anni che, una volta espulsa dall’organizzazione, per sentirsi amata e desiderata continuerà a sostituirsi ai defunti: un personaggio in cerca non di autore, ma del proprio ‘io’. Le numerose inquadrature di spalle, i fuori campo e le immagini sfocate sottolineano inoltre la nebulosa rincorsa verso una realtà inesistente, dove la spersonalizzazione e l'assenza di individualità mostrate sul grande schermo diverranno per il pubblico un’esperienza tanto spiazzante quanto raggelante. Alps è dunque un lavoro che proietta in sala continui spunti di riflessione: semi gettati in un campo che attecchiranno solamente in presenza di terreno fertile.

Che nel cinema di Lanthimos la componente mentale sia predominante su tutte le altre è un dato di fatto, purtroppo, però, ciò potrebbe rivelarsi un limite insuperabile per quanti, nella Settima arte, cerchino esclusivamente intrattenimento allo stato puro... Spettatore avvisato mezzo salvato!