Agadah: Alberto Rondalli porta al cinema il capolavoro ‘Manoscritto trovato a Saragozza’

Che il cinema abbia da sempre trovato ispirazione dal mondo della produzione letteraria non è una grande novità. Grazie poi a numerosi libri molto amati dai giovani, negli ultimi anni v'è stato un proliferare di trasposizioni cinematografiche che hanno ottenuto in sala un ottimo riscontro di pubblico: basti pensare alla saga di Harry Potter o a quella de Il Signore degli anelli. Alberto Rondalli - che già in passato, con Il Derviscio e L’aria del lago aveva portato sul grande schermo le pagine di romanzieri come Mesa Selimovic e Andrea Vitali - sceglie con coraggio di dirigere e sceneggiare Agadah, film liberamente tratto dal famoso Manoscritto trovato a Saragozza scritto agli inizi del 1800 dal Conte polacco Jan Potocki.

L’intera storia prende corpo nel 1815 quando Potocki è intento nell'elaborazione del proprio manoscritto. Nell’arco di pochi minuti ci si ritrova ad osservare le vicende di Alfonso van Worden, un ufficiale vallone al servizio di Re Carlo di Borbone che nel 1734 riceve l’ordine di raggiungere il suo reggimento a Napoli. Malgrado i molteplici avvertimenti da parte del suo servitore Lopez a non attraversare l’altopiano delle Murge, poiché si vocifera sia infestato da inquietanti creature, Alfonso decide ugualmente di dirigersi verso quella misteriosa zona, e…

Scegliere di trasformare in film una tra le opere più complesse della letteratura europea non era sfida facile – solo il regista polacco Wojciech Has aveva finora avuto l’ardire di compiere tale operazione –, eppure Rondalli riesce nell’ardua impresa realizzando un lungometraggio nel quale è possibile ammirare sia il perfetto equilibrio tra realtà e finzione che un’articolata ma fluida struttura narrativa. Agadah, termine cabalistico che si può tradurre con ‘narrare’, è organizzato come fosse un difficile sistema di scatole cinesi: una specie di Decamerone ‘nero’ o di Mille e una Notte in cui si susseguono racconti fantastici dove tra caverne misteriose, locande malfamate e amori incestuosi il giovane van Worden effettuerà un vero e proprio viaggio iniziatico. In questo caleidoscopio di personaggi – ladroni, cabalisti, zingari, demoni… – che si rincorrono e si riflettono gli uni negli altri, Rondalli mette in scena una ragnatela di storie surreali, talvolta macabre, dalle quali il protagonista da un lato è affascinato, dall’altro combattuto: l’attrazione della magia contro la raziocinante necessità di liberarsene.

Suddiviso in dieci giornate (il Manoscritto trovato a Saragozza si divide in 66 giornate) e toccando generi diversi - picaresco, esoterico, fantasy, rocambolesco ed erotico, giusto per citarne alcuni - il lavoro di Rondalli si concentra sulla circolarità allucinatoria di Alfonso, qui eletto dal filmmaker quale punto focale da cui si snodano tutte le altre avventure. In questo mix narrativo, nonostante qualche lungaggine di troppo, lo spettatore ha un unico compito: lasciarsi trasportare tanto dalle immagini quanto dalle parole. Già, perché durante la proiezione di Agadah cercare una chiave di lettura razionale sarebbe un errore imperdonabile che ne minerebbe l’intera visione. L’atmosfera incantata e al tempo stesso inquietante, la splendida fotografia, la giusta miscela di lavoro artigianale e digitale per gli effetti speciali, i bei costumi e il cast impeccabile - Nahuel Pérez Biscayart, Pilar López de Ayala, Jordi Mollà, Caterina Murino, Alessandro Haber, Alessio Boni, Umberto Orsini, Valentina Cervi, Ivan Franek… - sono tutti elementi che contribuiscono a rendere Agadah un’opera sì complessa, ma certamente da non perdere.

Uno dei tanti pregi del film di Rondalli? Invogliare il pubblico, una volta uscito dalla sala, a recarsi subito in libreria per riscoprire il capolavoro di Jan Potocki.