4021
Fa più rumore un albero che casca che una foresta che cresce.
Il 4021 del titolo si riferisce al codice dell’agente di commercio trentenne e senza nome che vediamo pronto a togliersi la vita su una spiaggia, ma che ritroviamo poi in un ristorante per riscuotere una consueta fattura, prima che ci venga mostrato il percorso che lo ha portato a quella situazione.
Agente di commercio cui concede anima e corpo in maniera quasi autobiografica lo stesso Simone Pulcini che firma la sceneggiatura insieme alla Viviana Lentini qui debuttante dietro la macchina da presa ed alla Elisa Billi che gli fa da ex moglie nel corso della oltre ora e venti di visione, destinata ad evolversi senza seguire un ordine cronologico, mostrando l’uno dopo l’altro gli incontri effettuati dall’indebitato protagonista con più o meno bizzarri personaggi.
Bizzarri personaggi che, tra parenti, “amici” e perfetti sconosciuti, spaziano da un usuraio che rivuole assolutamente indietro i propri soldi ad un cugino impegnato in un addio al nubilato organizzato da ragazze spagnole; fino ad un misterioso rom e, addirittura, un posteggiatore abusivo preso ad improvvisare rime poetiche, incarnato dal Mirko Frezza di Roma criminale e Il più grande sogno.
Un agglomerato umano che, comprendente anche un esilarante vigile con record giornaliero di multe (!!!), provvede a fornire – insieme ad un divertente discorso relativo alla star hollywoodiana Al Pacino – le occasioni atte a spingere lo spettatore a (sor)ridere per “alleggerire” un’operazione riguardante, in realtà, una tematica piuttosto triste come quella della crisi lavorativa che attanaglia l’Italia del XXI secolo, di cui la regista precisa: “Il progetto di farne un film indipendente no-budget, dopo l’esperienza positiva della messa in scena teatrale, nasce dall’esigenza mia e di Simone di mettere ancora più in luce un sistema sociale che mira a colpire sempre e solo le categorie più deboli, tra cui i liberi professionisti e le piccole imprese, mettendole spesso le une contro le altre in un gioco al massacro, una gara falsata che ammette solo vinti e nessun vincitore. Ancora oggi si attende la più volte citata ripresa che tarda invece ad arrivare”.
Un sistema sociale orchestrato da potenti che sempre hanno mangiato e sempre mangeranno, al comando di un paese in cui, ormai, non viene più arrestato nessuno come viene ribadito nell’insieme, impreziosito da una recitazione che non ha nulla da invidiare a produzioni decisamente più grosse.
Aspetto che lascia in un certo senso intuire la citata matrice teatrale del tutto; arricchita, però, di respiro cinematografico, grazie alla sensazione di racconto on the road trasmessa dai continui spostamenti sulle strade di Roma effettuati in automobile dal giovane precario in cui è facile rispecchiarsi, in particolar modo se si è giovani residenti dello stivale tricolore che identifica i cassintegrati in qualità di vecchi eroi.
E non ci si annoia, non si avverte troppo la pochezza di mezzi e si viene spinti alla riflessione... ma con un forte (retro)gusto di amarezza.