Venezia 76: uno sguardo sui film in concorso - giorno 5
Secondo film italiano in concorso alla 76° Mostra del Cinema, Martin Eden di Pietro Marcello non ha deluso. La scommessa di ambientare a Napoli la vicenda americana di un romanzo che per generazioni ha alimentato i sogni di migliaia e migliaia di adolescenti, è stata vinta. Con un inizio roboante di intuizioni e di immagini, l’universo marinaro di Jack London si trasferisce sotto il Vesuvio seguendo la tesi del regista per il quale un marinaio è un marinaio in tutti i mari, e in qualsiasi parte del Globo esistono poveri ed emarginati che vogliono emanciparsi. E ha scelto la prima parte del Novecento per farla attraversare da una vicenda individuale piena di riflessi sociali. Interpretato con misura e con i dovuti eccessi da Luca Marinelli, il film si apre al porto dove Martin salva un giovane dal brutale pestaggio di un portuale. Il ragazzo lo invita a casa dove scopre il lusso, la cultura, tanti libri e una graziosa sorella, Elena, della quale s’innamora a prima vista. L’invito, che comprende anche un pranzo è una sorta di ringraziamento al giovane leale e coraggioso, ma Martin, che lavora sulle navi dall’età di undici anni e che si trova momentaneamente a terra, a casa del fratello, è uno zotico. Il film, come il libro, segue il percorso di emancipazione del protagonista attraverso la cultura, il sostegno e l’innamoramento di Elena, ma anche il tentativo della ragazza di addomesticarlo. Poi, come ben sanno i lettori del romanzo, dopo grandi sacrifici e decine di poesie e di racconti respinti da editori e riviste, Martin si afferma e interviene in lotte operaie. Al culmine del successo vedrà anche Elena, che si era negata, bussare alla sua porta, ma non c’è perdono. Lui, dopotutto, non sopporta più niente di questo mondo. Sicuramente più tradizionale la seconda parte di questo singolare film di 129 minuti che al racconto aggiunge come lampi, immagini di mare e di povertà, e che si avvale di un eccellente cast di interpreti: Carlo Cecchi, Jessica Cressy, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise Sardisco, Carmen Pommella.
In concorso anche il film d’animazione di 125 minuti, Ji yuan tai qi hao, (No. 7 Cherry Lane) di Yonfan. Dopo 14 lungometraggi, il cineasta cinese esordisce nel cinema d’animazione come omaggio appassionato a Hong Kong con una vicenda romantica ambientata nel 1967. Ziming, studente universitario, si reca a Cherry Lane per dare lezioni d’inglese alla figlia diciottenne di una madre nubile giunta a Hong Kong da Taiwan. La ragazza non è in casa e s’intrattiene con la signora Yu scoprendo molte affinità. A sera rincasa Meiling, bellissima ragazza, e presto il bel giovanotto verrà conteso dalle due donne. Con la madre va al cinema, vedono Room at the Top , e sono presi da Simone Signoret e Lawrence Harvey. Parlano di cinema, ma anche di letteratura, di Alla ricerca del tempo perduto, e di Anna Karenina trovando punti di contatto col classico della letteratura cinese Il sogno della camera rossa. Con la figlia, invece, c’è l’attrazione adolescenziale. Tuttavia, più di qualche timido bacio con la signora Yu all’uscita dal cinema, non si vede. Si fa invece conoscenza con l’ambigua signora del piano di sotto, ex diva e cartomante e dei suoi numerosissimi gatti, mentre le strade sono invase da cortei di dimostranti, a testimonianza dei turbolenti eventi del 1967. Magia del film: dopo pochi minuti di proiezione non ci si rende più conto di vedere un film di cartoni animati, (e di questo si tratta: migliaia di immagini disegnate a mano da sessanta specialisti,) ma di assistere a un melodramma dove il sapiente impiego dei colori e l’abilità degli animatori aggiunge poesia e qualche simpatico spunto a una storia lineare che è anche un omaggio alla cultura europea.
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