Venezia 76: uno sguardo sui film in concorso (e non solo) - giorno 2
Questa prima parte del Festival continua all’insegna di film di lunga durata. Non fanno eccezione i 132 minuti del film di Roman Polanski J’accuse, in italiano: L’ufficiale e la spia, che è il titolo del romanzo di Robert Harris sul quale è basato il film. E Polanski a 86 anni ha dato vita a un’accurata e puntigliosa ricostruzione del più famoso processo di fine Ottocento, quello dello sbandierato tradimento del capitano Alfred Dreyfus. Protagonista Jean Dujardin nei panni di George Piquart, commissario del controspionaggio militare, il quale scopre che dopo la condanna e il confinamento di Dreyfus in un’isola dell’Oceano Atlantico qualcuno continua a passare documenti segreti ai tedeschi. Indagando scopre che il vero traditore è l’ufficiale Estherazy, difeso a oltranza dall’Alto Comando militare, ma moltissime prove sono state falsificate e lui deve accettare la versione dei superiori o essere incolpato di tradimento. E finisce in prigione, ma con l’aiuto di intellettuali, politici e soprattutto di Emile Zola, dalla cui lettera al presidente della Repubblica, J’accuse, ha preso il titolo il film, sarà scagionato e otterrà la revisione del processo Dreyfus e la sua liberazione. Costruito come una Spy Story il film si segue con attenzione, non tanto per la suspence legata a un finale a tutti noto, ma per il teso susseguirsi delle indagini, per l’accurata ricostruzione d’epoca e le denuncia dell’antisemitismo molto forte allora in Francia e per la partecipazione di attori che creano singolari volti in commedia.
Interessante anche il BioPic sulla vita di Jean Seberg diretto dall’australiano Benedict Andrews. La famosissima interprete di Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard ebbe una vita estremamente tormentata: amatissima in Francia venne invece perseguitata in America dal FBI per aver simpatizzato per il movimento delle Pantere Nere. In Seberg il regista focalizza la vita dell’attrice tra il 1968 e il 1970 quando lascia Parigi per girare un film a Hollywood. Affidato il figlio al marito francese che non ha potuto seguirla, conosce sull’aereo Hakim Jamal, attivista per i diritti civili in seno alle Pantere Nere. Lo frequenta perché si appassiona alla lotta per i diritti dei neri, ma fatalmente ci va a letto. E non sa di essere spiata dai servizi segreti, che rendono pubblica la relazione. Sempre con i nervi a pezzi; quasi non passa anno che non tenti il suicidio, tornerà in Francia dove a quarant’anni, nel 1979, venne rinvenuta morta all’interno di un auto. Ne da un’appassionata interpretazione Kirsten Stewart che trova un co-protagonista in Jack 0’Connell nei panni dell’investigatore che segue tutte le sue mosse, che attua una procedura illegale al servizio dello Stato ma che si rende conto del dramma dell’attrice e decide di aiutarla. Con lo smalto dei film a colori di una volta, il film dura 102 minuti.
115 minuti dura invece l’applauditissimo film di Mario Martone, Il sindaco del rione Sanità. Da uno dei capolavori di Eduardo De Filippo che Martone aveva allestito l’anno scorso per il teatro, un film girato in poco più di un mese che sorprende per intensità e per tensione. Ambientato ai nostri giorni, il sindaco, sorta di capopopolo che amministra la giustizia nel quartiere con un codice personale per regolare i conti tra persone perbene e persone di malaffare, tenta di dissuadere un giovane che vuole uccidere il padre. Gli suggerisce che a volte è meglio fare un passo indietro, cosa che ha detto anche al suo medico personale che ha deciso di partire per l’America. Quando il padre del ragazzo lo va a trovare per esporgli le sue ragioni, il sindaco capisce che il torto è dalla parte del padre che si comporta da carogna. Nel tentativo di riappacificare e di evitare vendette, viene ferito a morte. Con uno stuolo di attori, in una gara di bravura, e vale citarne qualcuno: Francesco di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto de Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe Gaudino, Ernesto Mahieux, il dramma è più teso di un film di Hitchcock.
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