Venezia 75 in chiusura: strameritato Leone d’Oro al Roma di Cuarón, un inno alla forza delle donne e alla famiglia
Venezia 75 è stato un festival particolare e ‘diverso’ per tanti motivi, ma è stato senza dubbio anche un Festival di ottimo livello che ha confermato (almeno in parte) le molte aspettative riposte già su carta. Tanti nomi di registi importanti hanno infatti riempito il cartellone dei 21 film in concorso e, tra questi, molti hanno regalato film davvero degni di nota. Ma vediamo, nel dettaglio, chi torna a casa a mani piene con i premi assegnati dalla Giuria di Venezia 75, presieduta da Guillermo del Toro e composta da Sylvia Chang, Trine Dyrholm, Nicole Garcia, Paolo Genovese, Malgorzata Szumowska, Taika Waititi, Christoph Waltz, Naomi Watts.
Sin dalla fine dell’anteprima stampa, il colpo di fulmine (personale) rimasto poi ineguagliato fino alla fine del concorso è stato senza alcun dubbio il Roma di Alfonso Cuarón (regista messicano che aveva già fatto incetta di premi con Gravity). La sua epopea famigliare in una Città del Messico anni ’70 in cui si confrontano due classi sociali diverse raccordate dalla bellezza del personaggio di Cleo (una strepitosa Yalitza Aparicio), governante di una famiglia abbiente capace di ergersi a eroina e punto di giunzione di un mondo femminile di estrema resilienza, ha rappresentato il punto più alto di questo festival. Alfonso Cuarón fonde la bellezza della storia con la suggestione di una forma poetica e rarefatta capace di sublimare con una splendida fotografia in bianco e nero i migliori momenti della sua opera. E così la parabola di Cleo all’interno di una dimensione famigliare di cui lei diventa simbolo e collante assume i contorni di una fiaba moderna, dove amore e dolore camminano a braccetto rischiarati dalla bellezza della vita. Donna eroina, madre putativa, angelo custode, la Cleo di Roma si muove attraverso gli snodi e le tragedie della sua vita con una discrezione che poco alla volta muta nel vortice emotivo di questo splendido film, portatrice sana di quella ondata di emozione che di fatto determina la bellezza dell’opera.
Altro film che ha molto fatto parlare di sé tanto per le sue qualità strutturali quanto per le notevoli prove attoriali è The Favourite (La Favorita) del regista greco Yorgos Lanthimos (The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro), un regista che nella sua breve ma intensa filmografia ci ha abituati a uno stile davvero particolare, condito sempre da un pizzico di follia, e che qui torna con una storia ambientata al tempo della regina Anna d’Inghilterra dove due cortigiane si contenderanno con ogni mezzo più o - soprattutto - meno lecito il ruolo di favorita della regina. L’ottimo ritmo dell’opera servito da una scrittura sempre funzionale e sagace, insieme a un ottimo cast (ugualmente brave Emma Stone e Rachel Weisz nei panni delle due contendenti e ancor più determinante Olivia Colman nei panni della regina, che con questo ruolo porta anche a casa anche la Coppa Volpi miglior attrice femminile) determinano la riuscita di quest’opera che ha convinto buona parte della critica e anche i giurati che gli conferiscono il Leone d’Argento Gran Premio della Giuria.
Leone d’Argento per la Miglior Regia va invece a un altro grande regista contemporaneo, ovvero il francese Jacques Audiard, che con il suo The Sisters Brothers diverte e convince a colpi di ritmo e originalità. Anche qui, come per il film di Lanthimos, in questa sorta di commedia western al vetriolo in bilico tra realtà e parodia, a farla da padroni sono un’ottima scrittura e un cast in grandissima forma dove spicca il bravissimo John C. Reilly che in certi frangenti va quasi a oscurare le prove comunque ottime dei coprotagonisti Jake Gyllenhaal e Joaquin Phoenix. Un’opera tutta al maschile dove non mancano tutti gli stilemi del genere western tra sparatorie, cavalli e incontri inaspettati, ma che gode anche di una sua piena originalità, e che trova nei dialoghi caustici centellinati lungo la corsa all’oro di questi due fratelli sui generis il suo vero punto di forza. Anche qui, un premio più che meritato.
Premio miglior sceneggiatura va invece a due dei talenti registici contemporanei più indiscussi e “temibili”, ovvero i fratelli Coen, due registi che sempre a quattro mani scrivono e dirigono opere fresche brillanti, e senza sbagliare quasi mai un colpo. La loro ballata western nostalgica e sagace dal titolo The Ballad Of Buster Scruggs (un’altra produzione Netflix) raccontata in sei diversi episodi e in un’alternarsi di temi e di atmosfere, ha senz’altro nella scrittura brillante il suo punto di forza maggiore. Transitando da una prima parte più leggera alle atmosfere più cupe della seconda, The Ballad Of Buster Scruggs diverte e coinvolge in una riflessione ampia sulle incertezze e sul senso della vita.
Infine, Coppa Volpi Miglior per la migliore interpretazione maschile a Willem Dafoe per il film At Eternity’s Gate di Julian Schnabel, Premio Speciale Della Giuria a The Nightingale (film protagonista anche di una serie di polemiche legate a una proiezione stampa un po’ troppo ‘rumorosa’) di Jennifer Kent e Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente a Baykali Ganambarr, sempre per il film The Nightingale .
Premi, nel loro complesso, giusti in alcuni casi giustissimi, che vanno a gratificare una selezione di film che, in un modo o nell’altro, ha maggiormente animato le conversazioni della dozzina di giorni di Festival. La vittoria di Roma, però, domina sulla chiusura di questa manifestazione. Per prima cosa riporta in auge il tema della famiglia come porto franco dove rifugiarsi specie nei momenti di buio, connotandola però come un’entità dove il legame di sangue è secondario al valore della presenza. Alfonso Cuarón, così come Kore'eda Hirokazu nel suo Un affare di famiglia (non a caso Palma d’oro a Cannes 2018) torna dunque sul concetto di presenza, sul valori di chi c’è e si prende cura diventando, nel tempo, punto di riferimento e di confronto al quale rivolgersi nei momento più bui della vita.
Inoltre, la vittoria di Cuarón segna anche un altro nuovo elemento all’interno della cornice festivaliera, ovvero la presenza dominante e vittoriosa di Netflix che presenziando al Festival con la produzione di Roma e di diversi altri film, si afferma come uno dei grandi punti di riferimento non solo per quanto riguarda la produzione commerciale ma, a questo punto, anche per quanto concerne la produzione del miglior cinema d’autore internazionale.
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