Valerio Mastandrea, saltellando dal Costanzo Show a La Linea Verticale
Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così… no, non stiamo parlando di Paolo Conte, ma di Valerio Mastandrea. E già, perché la prima strofa del brano Genova per noi sembra calzare a pennello a questo attore, classe 1972. Valerio Marco Massimo Maria Mastandrea, nato e cresciuto nel quartiere della Garbatella e con un nome da far invidia a Massimo Decimo Meridio, non poteva che essere romano e romanista Doc, uno di quei personaggi che di tanto in tanto capita di incontrare per i vicoli della città eterna: un mix di malinconia e comicità, autoironia e insofferenza, indolenza e alacrità, dolcezza e rigore.
A distanza di 12 anni dalla divertente sit-com Buttafuori (composta da 8 puntate di 30 minuti ciascuna, trasmesse nel mese di agosto in sostituzione dello storico Un posto al sole), che vedeva protagonisti Valerio Mastandrea e Marco Giallini nelle inusuali vesti di due ‘filosofi buttafuori’, l’attore romano torna in televisione con la fiction La linea verticale (serie tv), in onda - grazie a Rai Fiction e Wildside - in 4 prime serate dal 13 gennaio su Rai 3. Scritta e diretta da Mattia Torre, questa serie nasce da un’esperienza personale vissuta dall’autore durante un ricovero ospedaliero presso un reparto oncologico di urologia. Ora, direte voi, a “mamma Rai” non bastava Braccialetti rossi? Beh, rispondiamo noi, siete completamente fuori strada. Il microcosmo narrato da Torre – uno dei tre sceneggiatori del mitico Boris, nonché regista teatrale di Migliore e Qui e ora, entrambe opere portate in palcoscenico da Mastandrea – è infatti lontano anni luce da qualsivoglia prodotto ambientato in un ospedale. Surreale e a tratti onirico, La linea verticale mette in scena vizi e virtù di un mondo, per chi è sano, imperscrutabile, e lo fa trovando il perfetto equilibrio tra dramma e umorismo. Mastandrea è Luigi, un quarantenne sposato con Elena (Greta Scarano), in procinto di diventare per la seconda volta padre. Imprevista e asintomatica, quindi ancor più destabilizzante, la malattia arriva come un tornado a sconvolgere la vita di Luigi e quella della sua famiglia…
Tra corridoi asettici, corsie affollate e regole ferree si intrecciano le tragicomiche vicende di pazienti impazienti, arrabbiati, sconsolati, fiduciosi e pessimisti, con quelle di medici ‘piacioni’, infermiere ‘coatte’, caposala inflessibili, preti senza vocazione, professori divinizzati e portantini pigri. Ma nel variegato universo brillantemente descritto da Torre non v'è mai spazio per il cinismo, anzi, il suo sguardo è benevolo, amorevole e affettuosamente irriverente. L’atmosfera che si respira in tutte e quattro le puntate è inoltre così densa di umanità che quasi ci si dimentica delle esili meschinità di alcuni strampalati personaggi, perché ciò che conta è il messaggio di speranza che traspare chiaro da ogni inquadratura: quello di riuscire a mantenersi ben saldi alla linea verticale della vita, e non a quella orizzontale della sofferenza. L’intero cast, a partire da Valerio Mastandrea per proseguire con Greta Scarano, Babak Karim, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Ninni Bruschetta, Antonio Catania, Alvia Reale, Federico Pacifici, Elia Shilton, Cristina Pellegrino e Gianfelice Imparato, dà l’idea di essere guidato da un meccanismo a orologeria: un team perfetto.
E la linea del nostro ‘Valerio Marco Massimo Maria’, che percorso ha seguito? La sua carriera artistica cominciò in tv quando, diciannovenne, scrisse alla redazione del Maurizio Costanzo Show chiedendo di poter partecipare al programma di Canale 5, e in men che non si dica si ritrovò seduto sulla poltroncina del teatro Parioli a svolgere l’improbabile compito di opinionista. Da quel 1992 di strada Mastandrea ne ha percorsa parecchia, e una volta superata l'iniziale timidezza che lo costringeva a nascondere le mani nelle maniche del golf davanti a una telecamera, il ragazzo di borgata ha scalato le impervie vette del mondo del cinema adottando una regola fondamentale che pochi suoi colleghi riescono a mettere in pratica: affrontare la macchina da presa con la stessa sincerità con cui bisognerebbe vivere quotidianamente.
Dopo il suo debutto sul grande schermo, avvenuto nel 1994 in Ladri di cinema di Piero Natoli, Mastandrea non ha saltato un solo anno di lavoro, giungendo a vantare al suo attivo la partecipazione a ben oltre 60 film, e seppure non tutti da considerarsi completamente riusciti, ogni sua interpretazione ha comunque lasciato il segno, tanto che oggi il suo nome nel cast non può che ritenersi sinonimo di garanzia e sicuro incasso ai botteghini. Sebbene vincitore di quattro David di Donatello – miglior attore protagonista per La prima cosa bella di Paolo Virzì e Gli equilibristi di Ivano De Matteo, e miglior attore non protagonista per Viva la libertà di Roberto Andò e Fiore di Claudio Giovannesi –, nonché di un Nastro d’Oro per Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese, Valerio Mastandrea continua a rimanere un ‘puro’. A dispetto del successo ottenuto questo giovane adulto, indipendentemente dal ruolo cinematografico assegnatogli, sprizza infatti umanità da ogni poro e conserva una sua forte identità: quella del romano verace e garbato... proprio della Garbatella. Certo, talvolta il suo umorismo può sembrare ad alcuni sarcasmo, ma come non apprezzare quella dote del ‘non prendersi troppo sul serio’ divenuta di questi tempi merce assai rara? D’altronde, l’autore dello striscione con la scritta “so’ soddisfazzioni” (doppia zeta inclusa), calato da un balcone nei pressi del famoso bar dei ‘Cesaroni’ subito dopo la conquista dello scudetto da parte della Roma nel 2001, chi fu, se non Mastandrea?
Attore intenso e mai sopra le righe, il protagonista di Fai bei sogni di Marco Bellocchio, di The Place di Paolo Genovese e di Tito e gli alieni di Paola Randi – giusto per citare i suoi film più recenti – ha il grande pregio di apparire terribilmente credibile agli occhi del pubblico e l’innata abilità di passare repentinamente, anche all’interno della medesima scena, da un registro comico a uno drammatico. Ma la marcia in più che lo differenzia dai tanti attori italiani è la naturalezza con cui si cala nei panni dei suoi personaggi: da poliziotto a ladro, da apatico e cinico studente torinese a professore, da meccanico a giornalista. Apprezzato da registi, pubblico e critica, Mastandrea non dimentica mai a casa il suo carico di umana genuinità, basti pensare alla commovente lettera aperta che il 3 ottobre 2014, tramite le pagine de Il Messaggero, indirizzò a Martin Scorsese affinché lo aiutasse a finanziare l’ultimo progetto del compianto Claudio Caligari: “Caro Martino, ti scrivo per una ragione semplice. Tu ami profondamente il Cinema. In Italia c'è un Regista che ama il Cinema quanto te. Forse anche più di te. Certo non basta amarlo per farlo bene, il Cinema, ma questo signore prossimo ai 70 ha avuto poche opportunità per dimostrare il suo valore. Quando le ha avute, lo ha fatto. La sua filmografia fai presto a leggerla: Amore tossico, '83, L'odore della notte, ‘98. Ti scrivo perché, dopo tanti anni di “resistenza umana” alla vita, a questo mestiere e alle sue dinamiche, questo signore ha avuto il coraggio di scrivere un nuovo copione, e di provare a girare un nuovo film. Da circa due anni un gruppo di amici di cui faccio parte lo sta supportando muovendosi nei meandri delle istituzioni e delle produzioni grandi e piccole ottenendo piccoli risultati ma importanti. Attorno a questo film si è creata un'atmosfera molto rara. In tanti lo vogliono fare per rispetto di questo signore e del più alto senso del Cinema e di chi vive per il Cinema. Molte delle eccellenze del nostro settore, hanno espresso la volontà di lavorare gratuitamente o di entrare in partecipazione. Ora, se starai ancora leggendo, ti chiederai «allora perché non riuscite a metterlo in piedi?» La risposta a questa legittima domanda ti obbligherebbe a un'altra domanda: «Ma è così difficile fare i film in Italia?». Questo è un altro discorso. Più lungo e più maledettamente ovvio, almeno per noi...” . Il caro Martino, così lo chiamava affettuosamente Caligari, non rispose mai a questo toccante appello, ma Mastandrea, che per dedicarsi al lavoro dell’amico cineasta aveva rinunciato alla proposta di dirigere La profezia dell’armadillo (opera tuttora in lavorazione tratta dalla graphic novel di Zerocalcare), ha portato ugualmente a casa il risultato: l’aver contribuito alla produzione del pluripremiato Non essere cattivo.
Ma l’autenticità del quasi 46nne romano – il suo compleanno cade il 14 febbraio – la si ritrova ancora nelle ‘piccole’ cose da lui svolte, come ad esempio nei numerosi videoclip a cui ha preso parte, imperdibili mini racconti quali: Banalità e Gino e l’alfetta, di Daniele Silvestri; Supercafone, di Piotta; La descrizione di un attimo e Due destini, dei Tiromancino; Bada, dei Flaminio Maphia; Solo per te, di Riccardo Sinigallia; Guantanamera, della Banda Bassotti. Se poi a questa lista si aggiunge la regia del suggestivo A bocca chiusa, sempre di Silvestri, oltre alla sua schiettezza, viene fuori anche il suo talento dietro la cinepresa.
In attesa di Ride, suo primo lungometraggio da filmmaker le cui riprese sono terminate a Luglio, non possiamo che consigliare ai telespettatori di sintonizzarsi il 13 gennaio su Rai Tre, perché La linea verticale di Mattia Torre non è una fiction qualunque e, in quanto a bravura, Valerio Mastandrea è un gigante!