URGE: urge un microfono, ma anche no, per la conferenza stampa

Alessandro Bergonzoni, classe 1958, è un autore e attore teatrale sicuramente fuori dagli schemi. Sarebbe facile definirlo come comico ma, a ben vedere, l’artista bolognese è molto altro: già, perché la sua è una comicità dell’assurdo dove le parole vengono smontate e ricomposte per dare vita a mondi surreali e fantastici, universi paralleli affollati di continui paradossi e splendidi giochi linguistici. 

Nel 2010 Bergonzoni porta in scena lo spettacolo teatrale Urge: un inno alla “vastità”, un’incitazione ad aprirsi all’ incommensurabile, all’incredibile, all’invisibile e all’onirico. Con questa rappresentazione il prolifico autore ha chiuso un ciclo, un’ideale trilogia iniziata con Predisporsi al Micidiale, continuata con Nel e conclusasi proprio con Urge. Ed è da quest’ultimo titolo che nasce il film, un monologo basato sulla fantasia e sull’immaginazione, che combatte artisticamente e civilmente le vacuità culturali della società di massa: un magnifico lavoro che dà voce a pensieri in libertà.

In occasione dell’anteprima stampa, il regista Riccardo Rodolfi ha spiegato che l’idea di trasformare Urge in film è nata per offrire a un lavoro teatrale la possibilità di non svanire in una nuvola, come normalmente accade una volta finito l’allestimento. Alessandro Bergonzoni a sua volta dice  “ Non si voleva fare un film di Urge, io preferirei dire fare il teatro al cinema, cosa ben diversa dalla televisione. Perché uscire di casa per andare a una proiezione è una scelta che fai volontariamente, non è come la TV che la subisci, ecco dunque la somiglianza con il teatro. Il bello di questa operazione è che siamo riusciti a far vedere i particolari: il volto, lo sguardo, le rughe… Insomma cose che al teatro ovviamente non si  possono vedere. E poi, fatto molto importante,  il costo di un biglietto cinematografico è di 8 euro, mentre a teatro si aggira sui 25 euro, e molte persone non possono permettersi di spendere tale cifra. Io sono ignorante di cinema, non ho questa capacità di capire e captare cosa sia il cinema. Una volta, però, hanno comperato una mia sceneggiatura, il problema è stato che l’ hanno tenuta 10 anni in un cassetto per poi restituirmela. E sapete perché? Perché mi hanno detto che se non fai fiction, sit-com o serie tv non sei riconoscibile dal pubblico, per di più se fai un film metafisico e surreale sei tagliato fuori . E’ vero, io non sono un personaggio, forse non sono neppure un attore, perché trovo tristissimo fare una parte. Metaforicamente, essere nella vita solo un padre, solo un figlio, solo un compagno, è una parte che non mi soddisfa, a me interessa un tutto, che nel film è rappresentato dalla vastità.

In realtà, come era prevedibile, Bergonzoni si è scatenato in un serratissimo monologo di oltre 30 minuti, a tratti anche di difficile comprensione. Per carità, non per colpa sua… non funzionava l’audio del microfono! Adesso, io dico, se questo inconveniente fosse capitato durante la conferenza stampa di 50 Sfumature di Grigio, poco male: ma che succeda con il re della dialettica è veramente un buffo paradosso.

Comunque, con grande fatica e quasi finendogli in braccio qualcosa sono riuscita a captare. Bergonzoni va avanti a ruota libera: “Ci sono dei tempi di digestione di uno spettacolo, sicuramente questa sceneggiatura ha delle vecchietudini (sì, esattamente questo il termine usato) da levare, ma se qualcuno avesse voglia di snidare, vedere i nidi all’interno,  noi saremmo attenti a tenerne conto. Non è detto che io sia un attore di cinema e possa fare cinema, certo la voglia e un certo desiderio c’è. Esistono attori splendidi di una virtuosità immensa che non trasmettono nulla, poi ci sono persone che non sono attori, non sono attrici che ti sanguinano davanti, e tu inizi a sanguinare con loro. Quindi devo dire che la fatica di fare l’attore di cinema per me sarebbe troppo grossa, i tempi, le lunghezze… però morendo forse riuscirei a entrare in un personaggio cinematografico. Devo dire che non amo le trame, è vero che poi vado a vedere Danish Girl e di quel film amo anche le tapparelle! Quando mi dicono che io faccio ridere e pensare, è una delle offese più grosse che mi possano fare. Sono impaurito da questo cinema dove bisogna ridere a tutti i costi”.

L’attore emiliano non si ferma più, come un puledro a briglie sciolte nella prateria seguita a rincorrere, superare e aggrovigliare le lettere dell’alfabeto a una velocità supersonica. Non esistono punti, virgole, parentesi o pause, è impossibile stargli dietro: che qualcuno lo fermi! Ma niente, neppure il regista riesce a bloccare questo affascinante profluvio di parole in libertà, e anche i giornalisti con le loro manine alzate rinunciano all’impresa: lui vola ad altezze da aquila travestita da Pindaro. Questo è spettacolo, questa è arte, questo è Bergonzoni. Come i vulcani che sputano lava dalle viscere della terra, il bolognese fa scaturire pensieri dalla sua fervida mente a testimonianza di quanto l’ars retorica sia profondamente seducente. Nel suo monologo improvvisato tocca svariati argomenti, tra cui: l’importanza della consapevolezza delle proprie azioni, la repulsione da lui nutrita per la televisione e i suoi eccessi e soprusi di potere, la fatica che a volte gli costa l’assistere a film italiani. Penso tra me e me “urge un microfono in sala”, ma anche no: ritmo e melodia arrivano dalle frasi di Bergonzoni come musica, senza bisogno di amplificazione.

Urge è prodotto da Allibito Srl e distribuito da Exit med!a. Dal 3 marzo al cinema, è un evento da non perdere, un film che per 105 minuti ci fa precipitare in un mondo apparentemente illogico: un altrove di stravaganze linguistiche dove si ride, si ride senza sosta.