Un figlio a tutti i costi: incontro con Gigi D’Alessio e il cast
“L’idea di questo film nasce da una mia commedia teatrale che ho rappresentato nel 2012 qui al Teatro Prati per due mesi e mezzo, con enorme successo, quindi ho deciso poi di scriverne un trattamento cinematografico. Molte persone, qui al teatro, vennero a dirmi in camerino che avevo scritto una storia riguardante tanta gente che ha questo problema. Nel caso specifico, il protagonista ha un problema di semini lenti e la moglie, a tutti i costi, vuole questo figlio. Lui, allora, si sente impotente perché non riesce a metterla incinta e da qui nasce tutta una serie di situazioni ed equivoci. Per accontentare la moglie, questo povero protagonista unisce il sacro, il profano e va addirittura in un cimitero a seppellire uno zampone di maiale. Poi, ad un certo punto, la moglie gli dice che vuole rivolgersi ad un professionista del settore che possa metterla incinta”.
Regista teatrale, Fabio Gravina sintetizza così il plot alla base di Un figlio a tutti i costi, suo debutto dietro la macchina da presa che, attualmente in lavorazione, dovrebbe approdare nelle sale cinematografiche tra Febbraio e Marzo 2018.
Conferenza d’inizio riprese
Lo stesso Gravina interpreterà il protagonista del lungometraggio, ovvero il marito del personaggio incarnato da Roberta Garzia, secondo la quale la storia ha poco di irreale e presenta una prospettiva diversa, in quanto è l’uomo, in questo caso, ad avere un problema di solito legato alle donne ed a cercare di sbloccare l’ingranaggio che sembra essersi bloccato.
Una donna che metterà il marito in difficoltà, rivolgendosi, tra l’altro, all’inseminator della situazione, con le fattezze di un Beppe Convertini che racconta: “Questo individuo è un borderline che ha tante sfaccettature, tra cui l’attitudine di raggiungere l’obiettivo di riuscire a far diventare mamme tutte le donne che lo vogliono, scegliendo addirittura il colore degli occhi del bambino e decidendo se sarà maschio o femmina. Vi sarà anche un gioco di seduzione molto simpatico e originale”.
Oltre a Gianni Franco e a Ivano Marescotti, assente in conferenza e che sarà un commissario, nel cast figurano Angelo Di Gennaro nei panni di un sovrintendente di polizia, Laura Monaco in quelli della segretaria del protagonista ed Emanuela Tittocchia che, impegnata a fare da amica della Garzia, ricorda con piacere il pomeriggio in cui ha conosciuto il regista per parlare della parte e non nasconde la sua passione per Gigi D’Alessio, autore della colonna sonora che osserva: “Per me è un piacere essere qui. Fabio mi ha raccontato la storia qualche mese fa e mi ha colpito, perché credo che alla fine è difficile essere facili. Ci sono tante persone che hanno questa problematica, quindi, siccome vi saranno sia momenti allegri che altri che sottolineano la tragedia del non dover avere un figlio, mi sono ritrovato in questa cosa, perché scrivo canzoni per farti piangere, ma anche per farti ridere. Ho capito subito che questo film poteva essere per me un divertimento, ma anche un modo di mettermi in gioco, in quanto credo non vi sia una musica senza un’immagine ed un’immagine senza musica. Quando le due cose si accoppiano, altro che figli che nascono. Non è la prima volta che mi occupo di una colonna sonora per film. Ancora non so cosa farò, perché l’ispirazione nasce dalle immagini. Quando vedrò le immagini, capirò se vi sarà bisogno di sola musica o anche di qualche mio brano cantato”.
Altro elemento non presente all’incontro è Gino Cogliandro, il quale concederà anima e corpo ad un dottore commercialista che ha sposato una rumena e intende pagare meno tasse per poter costruire una casa alla madre; mentre Paola Riolo (moglie del regista nella realtà) spiega: “Io nel film sono Matilde Lombardi, il problema che si aggiunge in un momento già problematico per il protagonista, che la incontra casualmente perché ha un amico psichiatra, ovvero Stefano Masciarelli. Lei, infatti, ha minacciato il suicidio e, alla vista di quest’uomo, s’invaghisce e tenta di sedurlo. Comunque, volevo aggiungere che io lavoro con Fabio da diciassette anni e Un figlio a tutti i costi possiede il sapore e il suo stile, fatto di grandissima comicità, ma sempre senza eccessi, con molta eleganza e tanto rispetto per i problemi che tratta”.
Curioso, poi, è il fatto che Maurizio Mattioli ci regalerà addirittura tre diversi medici, in quanto precisa divertito: “Insieme al regista ho fatto una cosa carina che è stata frutto delle nostre idee, ci abbiamo messo un po' di fantasia. C'è questo uomo disperato che corre, anzi, rincorre una fertilità perduta. E' un film che parte come brillante, comico, ma sotto c'è poco di comico quando un uomo vive una situazione del genere. Ricordo il vecchio detto che diceva ‘Quale è la differenza tra la paura e il terrore? La paura è quando, per la prima volta, ti rendi conto che non sei riuscito a farti la seconda e il terrore è quando, per la seconda volta, ti rendi conto che non sei riuscito ancora a farti neanche la prima’. I tre medici sono un neurologo, un pranoterapeuta e un ginecologo. Uno ha i capelli neri, un altro parla un piemontese un po’ di tendenza, il ginecologo è il più normale, ogni tanto ha delle sfaciolate”.
Quattro chiacchiere con Maurizio Mattioli e Fabio Gravina
D: Maurizio, puoi anticipaci qualcosa su questi tre personaggi che interpreti nel film?
Maurizio Mattioli: Sono tre utopie a cui il protagonista si rivolge pensando di trovare l’ultima spiaggia. Sono tre personaggi, ma come fossero uno solo. Sono un romano, un italiano e un piemontese gay.
D: Quindi, torni a fare il piemontese, a pochi mesi da Non si ruba a casa dei ladri di Carlo Vanzina...
Maurizio Mattioli: Ammazza, nun te sfugge niente (ride). Sì, bene o male torno a fare quel tipo di piemontese.
Fabio Gravina: Però è importante dire che, quando ci sono gli attori, riescono ad interpretare anche altri personaggi.
D: Appunto, una prova alla Peter Sellers...
Maurizio Mattioli: Credo che un doppio personaggio mi sia già capitato di farlo al cinema, ma non ricordo in quale film.
D: Forse il ruolo in Una donna per la vita di Maurizio Casagrande, in cui interpretavi un ruolo che poi, a causa di un risvolto di sceneggiatura, si rivelava essere un altro.
Maurizio Mattioli: Parli del film in cui c’era il coma, giusto? Te ricordi più de me (ride). Comunque, non svelerei altro, diciamo che questo è un film brillante, per tutti, che tocca il tema della non fertilità.
D: Sicuramente, sei uno degli attori più attivi del momento. Quali sono i tuoi maestri?
Maurizio Mattioli: Diciamo che per la commedia mi cercano molto, ma ultimamente ho fatto anche fiction televisive. Credo che un attore più sappia fare e meglio è. Come primo maestro ho avuto Bruno Corbucci, poi ho cominciato a fare il mio cabaret con Lando Fiorini. Ho imparato un po’ da tutti, Pierfrancesco Pingitore è stato un grande maestro. Dovrei dire tanto su lui, non è stato solo un maestro di palcoscenico per me, ma anche di vita. Poi dico Stefano Reali, Carlo Vanzina, Paolo Genovese. A volte ti sembra di essere arrivato, ma io continuo ad afferrare ancora da tutti. Hai sempre qualcosa da imparare, è il bello di questo mestiere.
D: Questo è il debutto cinematografico per Fabio Gravina, dopo anni di teatro...
Fabio Gravina: Sì, sul set, come in teatro, gli attori devono essere il più preparati possibile, perché, se cominciano a sbagliare, bisogna ripetere e vi sono dei costi di produzione. Ora iniziamo la quarta settimana di riprese e, finora, quando si è sbagliato qualcosa si è sempre trattato del solo aspetto tecnico. Partendo da quella che è la mia origine teatrale, con gli attori ho fatto una preparazione spiegando i personaggi e cercando di provare anche delle scene, in modo che arrivassero preparati sul set. E ho fatto lo stesso anche per i personaggi più piccoli.
D: Come è stato auto-dirigersi e, stavolta, con una macchina da presa?
Fabio Gravina: È una grossa difficoltà. Per quanto riguarda il teatro, io mi sono sempre diretto e anche lì, inizialmente, ci sono difficoltà, poi, è chiaro che tutto diventa automatico. Con la macchina da presa, invece, io mi avvalgo della grande esperienza di Salvatore Scarico, produttore esecutivo e co-sceneggiatore del film. Ci spartiamo un po’ i ruoli: lui guarda me, io tutti gli altri attori. Parliamo prima delle varie scene, poi le giriamo.
D: In che tipologia di commedia può rientrare il film?
Fabio Gravina: Si rifà molto alla Commedia all’italiana, che ha fatto storia in tutto il mondo, ma oggi si è un po’ persa. Gli sceneggiatori dicono che si sono persi quel mordente e quelle storie, perché allora c’era il boom e vi era stata la guerra. Io, invece, credo che oggi vi sia tanto da dire, perché la società è anche peggio di allora e le storie addirittura più assurde. Io ho scritto tredici o quattordici commedie che sono il frutto dell’osservazione quotidiana del mondo che mi circonda.
D: Come sono stati scelti tutti i caratteristi presenti nel film?
Fabio Gravina: Insieme a Salvatore Scarico abbiamo fatto un casting come si faceva alla vecchia maniera, scegliendo gli attori che ritenevano giusti per quel ruolo. Per don Agostino serviva un prete un po’ particolare, quindi abbiamo preso Gianni Ciardo, che era perfetto per quella parte e, oltre ad essere una persona splendida, ha reso questo personaggio un piccolo capolavoro. Secondo me, nel cinema italiano ci sono tantissimi attori che, purtroppo, non vengono sfruttati per ciò che possono dare. Anche con Maurizio abbiamo parlato del personaggio e, un po’ perplesso, si è chiesto come poteva farne tre. Io gli ho detto che dal medico vedo solo un camice, non chi lo indossa. Infatti, avrà una battuta che dirà al protagonista: “Voi pazienti ci vedete tutti uguali, come i cinesi”.
D: Dove è girato il film?
Fabio Gravina: Il film è ambientato a Roma ma è stato girato quasi del tutto a Lariano, paese che si trova dopo Velletri. Oggi girare a Roma è molto complicato, non solo per le location e altro, ma anche perché c’è troppo caos per poter riprendere le scene in presa diretta.
D: Quali indicazioni ha avuto Gigi D’Alessio per la realizzazione della colonna sonora?
Fabio Gravina: Io sono solito lavorare con professionisti a cui non impongo alcuna indicazione per quanto riguarda le musiche. Il motivo è molto semplice: il musicista è un artista che ha bisogno di una sollecitazione, e Gigi la avrà non per quello che gli racconterò, ma per ciò che vedrà, perché è giusto così. La creazione, in questo caso sono le immagini alle quali andranno abbinate delle musiche che dovranno nascere dentro di lui. La sua arte provvederà ad unire immagini e musica. Essendo Gigi D’Alessio un ottimo cantante e musicista, ho deciso di affidargli la colonna sonora e lui ha accettato ben volentieri. Sarà una colonna sonora in cui si parla di sentimento e animo umano.