Tutta colpa di Jason: Viaggio nella saga di Venerdì 13
Ragazzi in vacanza presso un campo estivo lontano dal caos metropolitano, un misterioso omicida che li elimina l’uno dopo l’altro e, ovviamente, massicce dosi di sangue e violenza.
Con una formula tanto semplice quanto capace di attirare non pochi spettatori (novanta milioni di dollari d’incasso mondiale a fronte di cinquecentomila di budget), nel 1980 nasce la saga di Venerdì 13, ovvero una delle più gettonate degli ultimi quarant’anni dai fan dell’horror.
Ma in che modo ha avuto origine questo franchise tanto denigrato dalla critica quanto amato dai giovani in cerca di forti emozioni all’insegna dello splatter e della bassa macelleria?
Tutto accadde un... Venerdì
Prodotto nel 1972 quel L’ultima casa a sinistra di Wes Craven che finisce per trasformarsi quasi istantaneamente in un cult, Sean S. Cunningham comincia a collezionare una serie di flop rientranti in altri generi; fino a quando, folgorato da Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter, decide di mettere in piedi un prodotto simile puntando, però, ancora di più sul gore.
Quindi, ideato il titolo, pubblica su Variety un annuncio riguardante l’arrivo del film più spaventoso mai fatto, senza avere alcuna storia per le mani e cominciando a svilupparla soltanto in seguito insieme a Victor Miller e al non accreditato Ron Kurz, ma sotto la supervisione di Martin Kitrosser (poi script supervisor per Quentin Tarantino).
Una storia unicamente basata sul massacro all’arma bianca di vacanzieri – tra cui un Kevin Bacon degli esordi, vittima della morte più spettacolare – facilmente dediti al sesso e all’uso di droghe; fino al momento in cui la responsabile si scopre essere la Pamela Voorhees interpretata dalla compianta Betsy Palmer, intenta a vendicare la morte del figlioletto Jason (nome biblico), annegato nel locale Crystal Lake proprio perché nessuno gli prestò soccorso.
Un prodotto immerso in maniera rozza ma decisamente funzionale in pioggia incessante, ralenti e ottimi effetti speciali di trucco a cura di Tom”Zombi”Savini e che, nonostante predecessori quali il già citato capolavoro carpenteriano e l’ottimo Black Christmas – Un Natale rosso sangue di Bob Clark, definisce una volta per tutte regole e codici alla base del sottogenere denominato slasher, annoverante i lavori costruiti su uccisioni a ripetizione ai danni di un gruppo di persone in uno spazio più o meno chiuso.
Miner vaganti
Una storia che deve non poco sia al Terrore alla 13ª ora diretto nel 1963 da Francis Ford Coppola – con il quale la pellicola presenta anche qualche similitudine per quanto riguarda la colonna sonora, in questo caso a cura dell’Harry Manfredini cui si deve l’ossessivo “Ki-Ki-Ma-Ma” distorsione della frase "Kill her mommy" (traduzione: "Uccidila mamma") – che al Reazione a catena – Ecologia del delitto concepito nove anni più tardi da Mario Bava, scopiazzato in particolar modo nel primo sequel del film di Cunningham.
Perché, complice la inaspettata uscita di Jason dalle acque posta in conclusione a Venerdì 13, nel 1981 arriva immediatamente la continuazione L’assassino ti siede accanto, che – fuori Cunningham dal team – provvede a rendere concreto quello che, in realtà, nel capostipite era inteso soltanto come un epilogo onirico e tutt’altro che volto a rappresentare una resurrezione del ragazzino.
Ragazzino che, misteriosamente cresciuto in pochissimo tempo e con il mostruoso volto nascosto sotto un sacco di juta in maniera simile sia al Merrick del lynchano The elephant man che all’assassino de La città che aveva paura di Charles B. Pierce, prima si sbarazza di Alice alias Adrienne King, ovvero colei che gli ha decapitato la madre, poi si dedica alla progressiva eliminazione dei nuovi arrivati in un centro di addestramento per istruttori di campeggio; compresa una coppia infilzata tramite l’utilizzo di una lancia al momento dell’orgasmo, proprio come avvenuto nel citato thriller del maestro del gotico tricolore.
Del resto, ancor più che nel primo episodio risultano evidenti le regole del filone che vuole morto chi si dedica alla copula e salvi gli illibati e chi non fa uso di stupefacenti; nel corso di quello che, giudicabile forse in qualità di miglior momento dell’intera epopea, segna l’esordio dietro la macchina da presa per lo Steve Miner poi dedicatosi, tra l’altro, a Soul man, Chi è sepolto in quella casa? e Lake placid.
Lo stesso Miner al timone di regia anche del tassello successivo: il violentissimo Week-end di terrore che, datato 1982 e bene o male fedele alla struttura degli altri due, continua in parte a riproporre l’immagine della testa mummificata di Pamela Voorhees tenuta dal figlio – salvatosi da un colpo di machete – sulla evidente falsariga nel Norman Bates creato da Alfred Hitchcock.
Un tassello che, girato in 3D, rimane nella memoria dello spettatore soprattutto a causa della ferocia dei delitti (nel mucchio, un tizio tagliato verticalmente in due mentre cammina sulle mani facendo la verticale ed un altro cui viene fatto schizzare un occhio fuori dall’orbita) e per il fatto di essere quello in cui il mostro indossa per la prima volta la maschera da hockey, divenuta il suo marchio di riconoscimento.
Un mostro per intendere la cui filosofia ci sembra giusto citare quanto osservato da Fabrizio Fogliato sulle pagine della rivista Nocturno: “Gli squartamenti operati da Jason non sono altro che la sublimazione della sua impotenza sessuale e, di conseguenza, il suo rapporto deviato con l’erotismo non può che trovare l’orgasmo attraverso l’omicidio di quegli stessi corpi che non può possedere (ma che desidera in modo irrefrenabile)”.
Tommy vs Jason
Però, sebbene gli incassi ancora promettano bene, la Paramount decide di chiudere le gesta jasoniane sfornando nel 1984 (anno in cui la celluloide cara a Dracula e Frankenstein subisce un fondamentale cambiamento con l’uscita di Nightmare – Dal profondo della notte del sopra menzionato Craven) Venerdì 13 – Capitolo finale, firmato dal Joseph Joe Zito responsabile di diverse avventure di Chuck Norris e che già ha frequentato tre anni prima lo slasher attraverso il riuscito Rosemary’s killer.
Una quarta puntata rientrante tra le più convincenti pur non essendo dissimile dalle precedenti, ma che, con il sempre più inarrestabile Voorhees sopravvissuto a un’accettata in pieno cranio e risvegliatosi all’obitorio per trucidare due dipendenti del posto e rincasare a Crystal Lake, non solo vede il ritorno di Savini – assente nella seconda e terza – ai sempre più sanguinosi effetti speciali, ma vanta nel cast almeno due nomi affermatisi poi a Hollywood.
Infatti, tra pugnalate alla nuca attraverso un bianco schermo di proiezione ed il Peter Barton del telefilm Il principe delle stelle che si ritrova con la testa schiacciata a mani nude contro il muro, abbiamo il Crispin Glover di Ritorno al futuro destinato a beccarsi un cavatappi nella mano prima di essere definitivamente eliminato e il Corey Feldman di Gremlins e I Goonies impegnato, invece, a concedere anima e corpo al decisamente sveglio e inventivo ragazzino Tommy Jarvis che, appunto, spedisce Jason nell’aldilà.
Fino all’anno successivo, in quanto, considerato l’inaspettato successo avuto dalla pellicola, arriva nelle sale Venerdì 13: Il terrore continua del “povero” Danny Steinmann, il quale abbandona la Settima arte immediatamente dopo a causa di un brutto incidente, per poi morire nel 2012.
Un quinto lungometraggio che, con Feldman relegato soltanto a una breve apparizione nel prologo onirico in cui lo stermina-teen-ager si risveglia dalla tomba, pone nei panni di un Jarvis adolescente John Shepherd, in cura presso una struttura tra i boschi per persone con problemi mentali e dove, a seguito della accidentale morte di uno dei pazienti per mano di un altro dei ricoverati, ricomincia la sequela di ammazzamenti che sembrerebbero opera dell’invulnerabile gigante dalla maschera da hockey.
Sembrerebbero, giusto, perché, tra un paio di cesoie conficcate negli occhi della nudissima e pettoruta Debi Sue Voorhees e lo squartamento di una ragazza sulle note di His eyes degli Pseudo Echo (una delle migliori sequenze del film), il responsabile scopriamo essere un emulo del serial killer imparentato proprio con il paziente deceduto durante i primi minuti di visione.
Una scelta di sceneggiatura che fa ingiustamente storcere il naso a molti spettatori e fan nei confronti di un capitolo dignitoso e non peggiore di altri; tanto che, affidandone la regia a Tom McLoughlin, nel 1986 si provvede a riportare veramente in vita il boogeyman in Venerdì 13 parte VI – Jason vive, infarcito di tutt’altro che invadente ironia fin dai titoli di testa, mostranti il gigante ritardato che emula James Bond tagliando lo schermo col machete anziché sparare verso la macchina da presa.
E si sente non poco l’influenza da parte del mito di Frankenstein nel vederlo resuscitare a causa di un fulmine che colpisce proprio la sbarra di ferro conficcatale nel cuore da Tommy, ora interpretato dal Thom Mathews de Il ritorno dei morti viventi e andato a scoperchiare la bara per assicurarsi che fosse veramente deceduto.
Lo stesso Tommy che, tra una scolaresca pericolosamente in gita e la figlia dello sceriffo locale decisa a credergli a differenza del padre, si batte nuovamente per porre una volta per tutte fine alla mattanza; non prima, comunque, che il body count salga vertiginosamente, in mezzo a una testa staccata a mani nude, un tizio spezzato in due ed un manipolo di individui coinvolti in una guerra simulata dagli esiti non poco tragici.
Fantasticherie di un massacratore solitario
Al di là di uno script che non si limita altro che a mettere in scena un manipolo di personaggi quasi mai abbozzati solo per trasformarli in carne da macello, sicuramente uno dei Venerdì 13 più innovativi, destinato inoltre ad accentuare la già accennata componente zombesca di Jason.
Come pure il successivo Venerdì 13 parte VII – Il sangue scorre di nuovo, diretto nel 1988 dall’effettista John Carl Buechler – ma già regista di Troll – e nel quale l’angelo sterminatore viene casualmente liberato dalle catene che lo tengono imprigionato in fondo al Crystal Lake dalla giovane Tina alias Lar Park Lincoln, dotata di poteri telecinetici e intenta a riportare tra i vivi il padre che fece accidentalmente annegare da bambina.
Un chiaro tentativo di infondere nuova linfa introducendo una sorta di nipotina della Carrie White kinghiana da contrapporre al maniaco, qui sfoggiante un magnifico look caratterizzato da brandelli di indumenti che consentono di lasciargli in vista costole ed ossatura ormai più che evidenti.
Tentativo tutt’altro che disprezzabile e che inizia a proiettare la serie verso un clima sempre più fantastico; come testimonia un anno dopo anche l’epilogo del deludente Venerdì 13 parte VIII – Incubo a Manhattan di Rob Hedden, che, penalizzato da un look decisamente televisivo ulteriormente accentuato dai numerosi tagli imposti dalla censura, si svolge soprattutto su una nave colma di studenti e soltanto in minima parte nella Grande Mela promessa nel titolo, dove, sommerso da liquami tossici, anziché corrodersi fino all’osso Jason muore tornando bambino.
Probabilmente nella goffa intenzione di dare una conclusione colta (muore il mostro, rimane soltanto la sua essenza fanciullesca) ma totalmente fuori luogo alla lunga odissea cinematografica che, passata dalla Paramount alla New Line e segnando il ritorno di Cunningham tra i produttori, abbandona nel 1993 la continuity tramite Jason va all’inferno di Adam Marcus, in cui del massacratore – ridotto in pezzi da una squadra speciale – rimane solo il cuore ancora pulsante.
Cuore poi ingerito da un coroner che rappresenta soltanto il primo dei corpi in cui, imitando L’alieno di Jack Sholder, si incarna di volta in volta per proseguire la sua carneficina, comprendente anche una strage proto-Terminator all’interno di una stazione di polizia.
Prima di finire negli inferi e che, afferrandone la maschera rimasta in superficie, la mano artigliata di Freddy Krueger provveda ad annunciare l’attesissimo scontro tra le due icone horror degli anni Ottanta.
Scontro che avviene, in realtà, soltanto dopo l’uscita di JX: Morte violenta di Jim Isaac, del 2001, ricco di trovate di sceneggiatura ma decisamente poco fantasioso negli omicidi inscenati (ad eccezione, forse, della tipa cui viene frantumata la faccia dopo averla criogenizzata) in un lontano futuro e a bordo di un’astronave, strizzando evidentemente l’occhio ad Alien.
Scontro concretizzatosi, quindi, soltanto nel 2003, quando Ronny Yu – autore dell’ottimo La sposa di Chucky – risveglia il Signore degli incubi per far sì che, dimenticato da tutti a Springwood e, di conseguenza, incapace di tornare a tormentarne gli abitanti, sfrutta l’assassino dalla maschera da hockey per fargli mietere vittime che accrescano il suo potere in Freddy vs Jason.
Fino all’attesissimo, esplosivo match di cui è più volte annunciato un sequel atto magari a coinvolgere altre figure mitiche del genere, ma che, ad oggi, risulta seguìto soltanto dal Venerdì 13 diretto nel 2009 da Marcus Nispel, reboot che sintetizza bene o male quanto raccontato nei primi tre tasselli della saga.
Intanto, si parla da tempo di una serie televisiva e di una continuazione che dovrebbe dare spiegazione all’immortalità del caro vecchio Voorhees... ma, come già avvenuto con i due Halloween di Rob Zombie, rischia seriamente di rivelarsi un grosso errore la tendenza ad ancorare alla realtà e a rendere sempre più umani i fantastici personaggi che hanno fatto la storia del cinema della paura.
Aggiornamento (23/09/2016): secondo quanto annuncia Paramount, è in fase di pre-produzione un nuovo capitolo della saga, diretto da Breck Eisner, previsto in uscita nelle sale americane il 17 ottobre 2017.