Torino Film Festival edizione 2020: tante interessanti opere prime, femminilità in lotta, e una manciata di esistenze in cerca di “qualcosa"
Anno 2020, l’anno in cui tutto cambiò.
Dopo svariati anni di Torino film festival “live”, di camminate tempranti per gli eleganti portici torinesi, di immagini da cartolina di una Torino bianca e innevata, di caffè e Bicerin, di una Mole imponente che fa capolino da ogni angolo mentre ci si avventura alle proiezioni dei cinema Classico e Massimo, il 2020 ha portato (assieme a tutti i suoi altri numerosi cambiamenti e alle svariate rivoluzioni) anche il primo festival ufficialmente e del tutto online. In quest’anno così particolare, quindi, anche gli accrediti stampa sono stati disponibili “in remoto”, e noi tutti abbiamo visionato i film disponibili dai nostri rispettivi divani di casa. Una dimensione certamente più comoda ma, di fatto, meno reale, meno avvolgente. È sembrato infatti un festival strano, assai più breve, ma che, comunque andrà, per tanti motivi non scorderemo. E pur non essendoci forse stato un cartellone memorabile e così ampio come quello degli anni precedenti, non sono mancate delle piccole perle - che siano state premiate o meno, poco importa. Il cinema, ancora una volta, a suo modo ce l’ha fatta!
Particolarmente evidente in questo giro di festival è stato il racconto di diverse femminilità silenti o in silente rivolta, prima fra tutti la splendida madre (interpretata da Mercedes Hernandez) – Premio Miglior Attrice - del film messicano Sin señas particulares (Premio Speciale della Giuria) della regista Fernanda Valadez. Due premi meritati (forse quest’esordio meritava proprio il premio miglior film, ma tant’è) per un’opera bellissima, dove la ricerca caparbia ed esasperata di una madre che ha smarrito il figlio, diretto oltre i confini del Messico, si muove in tempi e spazi estesi, attraverso intimità doloranti e poetiche, e si rivela in un onirismo che manifesta il pericolo e la voglia estrema di riscatto attraverso le forme demoniache di un diavolo pronto a manifestarsi in modi e forme inaspettate. Un tema più che noto, ma affrontato in maniera davvero originale e toccante.
Sempre in tema di forte femminilità anche il bel film spagnolo Las niñas di Pilar Palomero e il “fiammeggiante” duo di sorelle irlandesi protagoniste di Wildfire di Cathy Brady. E, ancora, l’on the road a tratti lisergico del taiwanese Mickey on the road di Lu Mian Mian, il thriller etico italiano (unico film italiano in questo concorso 2020) della Regina di Alessandro Grande. Tra tante donne, infine, anche la lotta solitaria di un uomo con sé stesso e con la propria sessualità difficile da rivelare, difficile da condividere, forse difficile da accettare; è questa la tematica protagonista dell’interessante e iper-realistico film rumeno Poppy field di Eugen Jebeleanu. All’intenso protagonista Conrad Mericoffer è andato il meritato Premio Miglior Attore.
Quel mondo chiamato casa
Non menzionato nei premi ma comunque film davvero degno di nota, incastonato ancora una volta in quell’oriente che, con rigore e trasporto, ragiona e osserva le delicate e complesse dinamiche di famiglia, il Moving on di Yoon Dan-bi, delicata elegia sulla famiglia, sul tempo che passa, sui rapporti che mutano.
Ricerche ossessive e disperate
Nella categoria ricerche ossessive e disperate, sempre capeggiata dal su menzionato Sin señas particulares, anche una manciata di opere particolari, a loro modo suggestive, come The evening hour di Braden King, riflessione amara su possibilità e aspettative di vita in una periferia americana sempre più povera, Why not you di Evi Romen, che mescola la tematica del terrorismo a quella del fato e dello smarrimento esistenziale, Memory house di João Paulo Miranda Maria, racconto espressionista sulla lotta fra classi che sfocia in momenti di puro surrealismo, e infine anche la storia di ricerca e cambiamento incarnata dal delicato This is my desire di Arie & Chuko Esiri, omaggiato con la Menzione Speciale.
Botox
Infine, Premio Miglior Film e Migliore Sceneggiatura va a Botox di Kaveh Mazaheri, film iraniano-canadese che ruota attorno a una misteriosa scomparsa e alle peripezie controverse di due sorelle alle prese con una loro intime verità. Opera dai registri diversi che mescola toni realistici a sfumature grottesche e che segue, in ambientazioni fredde, innevate, ostili, la realtà di donne costrette ai margini e spinte, dal caso o dalla volontà, a riappropriarsi di una loro voce, di una loro centralità sociale. Due premi non del tutto comprensibili per un film con diversi punti di interesse e spunti di riflessione ma che, risulta, anche un po’ troppo confusionario e non del tutto a fuoco.
Al netto però delle solite riflessioni sui premi, sui film, quest’anno vince sicuramente, su tutto, la prova comunque riuscita di mandare avanti l’arte e il cinema, anche a distanza, anche con tutte le complessità del caso, sperando comunque di tornare quanto prima a passeggiare sotto la Mole e tra gli ambienti iper-cinefili del Torino Film Festival.
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