Tim Burton presenta la sua casa dei ragazzi speciali di Miss Peregrine
“Il titolo, con quei ‘ragazzi speciali’, già mi diceva qualcosa, poi Ransom Riggs ha organizzato, quasi cucinato gli ingredienti della storia partendo da vecchie fotografie. Io raccolgo fotografie, le colleziono. Una vecchia fotografia ti racconta una storia, ma non tutta, perché conserva quella parte di mistero e di poesia, qualcosa di potente ed efficace. Mi è piaciuto il modo in cui aveva messo insieme tutto. Poi, il sentirsi strano a livello interiore, il sentirsi fuori posto del protagonista è una cosa in cui mi sono immediatamente identificato”.
Parla alla stampa romana il cineasta californiano Tim Burton in occasione dell’arrivo nelle sale cinematografiche italiane – a partire dal 15 Dicembre 2016 per 20th Century Fox – della sua ultima fatica: Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, tratto dall’omonimo romanzo di Ransom Riggs, a proposito di cui prosegue: “Quando è uscito Batman quello dei fumetti sembrava un nuovo territorio da esplorare, ora, praticamente, ogni settimana esce un film sui supereroi. Quello che mi è piaciuto in particolare di questi bambini del mio film è il fatto che hanno sì i loro poteri, ma, fondamentalmente, sono ragazzini e ciò è l’elemento più importante”.
Un film del quale svela anche che la sua fugace apparizione su un ottovolante è dovuta esclusivamente al fatto che, terminate le riprese, avevano anche finito i soldi e occorreva ripetere alcune scene, oltre ad affermare: ““Eva Green è stata la scelta immediata perché possiede tutte le caratteristiche che il personaggio di Miss Peregrine doveva avere, dall’essere forte all’essere divertente, ma, al contempo, drammatica, potente ed efficace; oltre all’essere credibile come persona che potesse trasformarsi in un uccello. Lei è come una star del cinema muto”.
Un incontro durante il quale non manca neppure di precisare che lui non si concentra su una particolare fascia di pubblico, ma fa film per tutti soffermandosi, inoltre, sul suo personale pensiero a proposito di stop-motion e CGI: “Io adoro la stop-motion perché ha la caratteristica dell’essere tattile, la puoi toccare, sentire, è molto bella, poi i pupazzi sono vere e proprie opere d’arte. Però, anche i computer sono speciali e riescono a farti fare cose sorprendenti. Per esempio, in questo film la lotta tra le due bambole è realizzata in stop-motion, ma dipende molto dal tempo che hai a disposizione, perché essa è fantastica, ma ne richiede molto”.
E Mr. Burton spiega anche il motivo per cui stavolta non si è avvalso né delle musiche del fido Danny Elfman, né di quelle dell’Howard Shore con il quale aveva lavorato in Ed Wood: “Per Ed Wood, Danny Elfman era impegnato oppure avevamo litigato, perché noi siamo come le coppie, che si prendono, si lasciano e si riprendono. Per Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, invece, Stephen Sondheim aveva scritto le musiche mentre, in questo nuovo caso, Danny era impegnato. Ma torneremo a lavorare insieme, diciamo che aveva bisogno di prendersi una piccola pausa da me”.
Tra l’altro, pur riconoscendo che oggi vi sono molte persone visionarie perché le cose sono molto cambiate ed esistono migliaia di modi di fare cinema, non crede esista un regista come lui, ricordando: “Io sono cresciuto in una cultura che ama dividere le persone in categorie. Ho avuto una nonna che sosteneva e appoggiava le mie peculiarità e ho avuto un insegnante d’arte che mi incoraggiava ad essere speciale ed a continuare ad essere me stesso. Questa è una rarità, ma io devo dire di essere stato fortunato, perché ti bastano un paio di persone che riescono a vedere le tue particolarità e ti incoraggiano, ti consentono di farle fiorire”.
Dichiara ironicamente, poi, che il Superman con Nicolas Cage è il suo miglior film che non ha mai fatto, ma evita di parlare di progetti futuri nel momento in cui gli si chiedono notizie sugli annunciati Dumbo e Beetlejuice 2, in quanto, quando lo ha fatto per altri film, sono stati cancellati prima dell’inizio delle riprese.
Trova poi il tempo per dire la sua a proposito delle generazioni moderne: “Oggi chiunque può dire o scrivere qualsiasi cosa su qualcuno, c’è questa specie di bullismo che mi disturba tantissimo. Vai ad un concerto e stanno tutti lì col telefonino, lo faccio anche io, alla fine, però, uno non si gode il presente perché lo vive, purtroppo, tramite un dispositivo. Oggi i ragazzini giudicano il valore di se stessi attraverso il numero dei like ed è una cosa che trovo triste e molto allarmante”.