"Signore salvaci, questa casa è invasa dai negri!"

“Voi però lo sapete, e io so che lo sapete che cosa sfidate, ci saranno 100 milioni di persone qui negli Stati Uniti che si sentiranno disgustate, offese, provocate da voi due e dovrete conviverci. Magari ogni giorno, per il resto delle vostre vite.
Potrete cercare di ignorarne l’esistenza o potrete sentire pietà per loro e per i loro pregiudizi, la loro bigotteria, il loro odio cieco e le loro stupide paure. Ma quando sarà necessario dovrete saper stare stretti l’uno all’altra e mandare al diavolo questa gente. Chiunque potrebbe farne un dannato caso del vostro matrimonio. Gli argomenti sono così ovvi che nessuno deve sforzarsi di cercarli. Ma siete due persone meravigliose, a cui è capitato di innamorarsi e a cui è capitato di avere un problema di ‘pigmentazione’.
E adesso io credo che, non importa qualunque obiezione possa fare un bastardo contro la vostra intenzione di sposarvi, solo una cosa ci sarebbe di peggio: se sapendo ciò che voi due siete, sapendo quello che avete, sapendo ciò che provate… non vi sposaste.”

Diciassette giorni dopo la conclusione delle riprese del film, che probabilmente coincisero con il monologo finale recitato da Spencer Tracy, l’attore americano , nato a Milwaukee nel 1900, da tempo sofferente di diabete, morì stroncato da un infarto. Le lacrime di Katharine Hapburn, ripresa durante i vari controcampi architettati da Stanley Kramer, che si alternano al lento movimento della macchina da presa in rotazione oraria, sono vere e non artifizio da attrice, come lei stessa dichiarò, ammettendo di essersi realmente commossa dinnanzi all’ultima grande prova di attore di colui che sarebbe stato e rimasto il grande amore della sua vita. Perché Indovina chi viene a cena? (Guess Who's Coming to Dinner) è anche questo: il film nel film, rappresentato dalla tormentata storia d’amore tra Spencer Tracy e Katharine Hapburn, amanti da oltre vent’anni all’epoca del film, eppure mai rivelatisi all’establishment, vuoi per i problemi della famiglia di origine di lui, vuoi, probabilmente,  per quell’incapacità e mancanza di coraggio nell’affrontare quei “100 milioni di persone che si sarebbero sentite offese e scioccate” da quella relazione adulterina… E allora, ben si comprendono le lacrime che rigano quegli occhi luccicanti in quel film che non riuscì mai a vedere per intero perché il ricordo le era troppo doloroso, ed anche si ammira  lo sforzo economico che lei profuse per terminare la produzione del film, stante il dietrofront della produzione, impaurita dalla prospettiva di una prematura scomparsa di Tracy, ormai palesemente malato. Ben si comprende e commuove  il gesto di infantile tenerezza nel realizzare lei stessa la statuetta che nel film rappresenta il suo Spencer nei panni di Matt Drayton…

Siamo a San Francisco – da sempre simbolo dell’America più emancipata e trasgressiva – Matt e Christina Drayton sono due esponenti di quella liberal class priva di pregiudizi ed aperta al cambiamento, quando, di ritorno da un viaggio alle Haway la figlia Joey si presenta con l’uomo che ha conosciuto nelle isole e di cui si è innamorata e che è pronta a sposare, il Dott. John Prentice…. Un giovane medico di colore che sta per trasferirsi a Ginevra per motivi di lavoro. Il film, sceneggiato da William Rose vincitore dell’Oscar per il suo lavoro, inizia come una commedia degli equivoci, - Joey non rivela il colore del suo fidanzato ai genitori - e si sviluppa in una serie di dialoghi  che approfondiscono la scottante tematica di un matrimonio misto, pur se nell’America degli anni ’60, pur se nella emancipatissima San Francisco.

Protagonisti di questa tenzone intellettuale, dove conflitti sociali e storici si fondono con quelli personali e più intimi, sono 8 personaggi simmetricamente opposti a seconda della propria avversione o condivisione della scelta dei due giovani di convolare a nozze. Dalla parte degli oppositori c’è il padre di lui Mr. John Prentice (“Quattro ore non bastano neanche per fare la lista delle obiezioni che ho, ce ne vorrebbero otto perlomeno!”) che rappresenta la vecchia e solida America, il nero che pur disprezzando il razzismo di cui è pervaso il suo Paese, in nome di una sorta di sano e giudizievole buonsenso, preferisce lasciare le cose così come sono, senza imbarcarsi in strambe iniziative come quella di sposare una bianca; più retrograda di lui c’è pero la cameriera Tilly (quella Isabel Sanford che diventerà poi famosa per aver interpretato Louise nella sit comedy I Jefferson), che vede come fumo agli occhi uno della sua  razza che vuole “mettersi in un posto più alto di quello che gli spetta!”.  Posizionati più centralmente troviamo la madre di John preoccupata, da madre, della sorte del figlio alle prese con un matrimonio così complicato e Matt, il padre di Joey che in nome di un sano realismo riterrebbe preferibile che quel matrimonio non si faccia. Dall’altra parte troviamo Christine che invece sin da subito trova quella unione meravigliosa (“Lei ha imparato quelle che le abbiamo insegnato, e cioè che era ingiusto ritenere che i bianchi fossero, non si sa per quale ragione, superiori ai negri, così come ai rossi e ai gialli naturalmente. E che quelli che la pensano così sono in errore, alcuni per malvagità, altri per stupidità, ma sempre   in errore. Questo le abbiamo detto. E quanto l'abbiamo detto non abbiamo aggiunto: "Però non ti innamorare di un uomo di colore!", obietta alle forti perplessità del marito) sintetizzata dalla maniera imperiosa con la quale liquida la collega amica ed impicciona che viene a rammaricarsi per quella disgrazia occorsale; Christine è  fiancheggiata dal Reverendo Mike (“Mio caro amico, io vorrei con tutto il cuore poterti convincere, e se avessi dieci anni di meno, per impedirti di andare giù con queste intenzioni forse arriverei al punto di sbarrarti la strada con la forza!”)  per nulla scandalizzato dal matrimonio; e, naturalmente, i due promessi sposi, ma con atteggiamenti differenti. Lei, Joey, la giovane di buona ed adagiata famiglia che mai ha dovuto penare per ottenere qualcosa ed alla quale la vita le si è sempre presentata come un comodo viale da passeggiare, si butta nell’impresa con la spensieratezza e l’inconsapevolezza di chi ha sempre avuto una vita facile (“mi sono innamorata di lui in venti minuti”), lui, invece, disposto a sposarla ma non senza il consenso dei suoi genitori. Ed in questa dinamica si sviluppano le tesi di tutti i protagonisti, nell’elegante appartamento con vista sulla baia, scontri anche aspri culminanti nel monologo finale di Spencer Tracy riportato all’inizio, che segna lo spostarsi dell’asse dell’opera verso la soluzione che il pubblico di tutto il mondo aspetta.

Il film, uscito nel 1967, e vincitore di due premi Oscar (oltre a quello della sceneggiatura, vide trionfare Katherine Hapburn quale migliore attrice protagonista ed ottenne varie nomination tra cui miglior film e miglior regia) ebbe subito un successo planetario, diventando uno dei simboli dell’integrazione e della tolleranza. Successo, probabilmente favorito anche dalle tematiche della rivolta studentesca che in quegli anni andava sempre più prendendo corpo proprio in quelle atmosfere liberal di cui il film è permeato. Da qualcuno accusato di porre in maniera un po’ leccata, da commedia hollywoodiana per l’appunto, tematiche e problematiche molto importanti e gravi, ritengo invece che proprio quello sia il suo punto di forza ed anzi, è proprio questa atmosfera così civile e beneducata che lo rende ancora oggi un film godibilissimo e permette di far pensare anche a generazioni lontane rispetto a quelle dell’epoca della realizzazione.

Paradossalmente, ma neanche troppo, nello stesso anno, usciva Il Laureato che con vigore diametralmente opposto stroncava l’istituzione del matrimonio eleggendola ad ipocrisia primaria della classe borghese dell’America bene. Quindi, se da una parte l’unione tra un uomo ed una donna diventa strumento di emancipazione ed integrazione, dall’altra la stessa istituzione è descritta come emblematicamente retriva, antiquata ed antiprogressista. Voci disordinate di una stessa America i cui germi del cambiamento sono ormai maturi.
Sempre del 1967 è anche La calda notte dell'ispettore Tibbs (In the heat of the night), che consacra Sidney Poitier come uno dei più importanti attori americani e, probabilmente, la prima star afroamericana del firmamento hollywoodiano. Già vincitore dell’Oscar nel 1964 per I Gigli del Campo - Lilies of the Field (primo nero a vincere la statuetta come miglior attore) con il ruolo dell’ispettore Virgil Tibbs, e di John Prentice in Indovina chi viene a cena? disegna due personaggi che rimangono scolpiti nella storia del cinema americano. Per lui dopo, ci saranno ancora molti film, alcuni anche come regista, ed un Oscar alla carriera nel 2002 dove, durante il discorso di accettazione della statuetta pronunciò queste parole ”…nulla si sarebbe messo in moto se non vi fosse stato un numero inestimabile di scelte coraggiose ed altruistiche intraprese da un manipolo di creatori visionari americani: registi, scrittori e produttori, ciascuno con un forte senso di responsabilità civile verso l'epoca in cui viveva. Ciascuno senza paura di consentire alla propria arte di riflettere le proprie visioni e i propri valori - etici e morali - e per di più, riconoscerli come propri.”.

Sarebbe stato un altro finale perfetto per Indovina chi viene a cena?