Si spengono le luci su Cannes 70: si festeggia l’arte, e si piangono le società annichilite

(Foto di Carlo Andriani)

Cerimonia finale e gran chiusura per il Festival di Cannes 70, manifestazione che tra le altre cose si riprometteva di celebrare la settantesima edizione di un festival del cinema che negli anni è cresciuto a dismisura diventando una delle vetrine in assoluto più importanti del panorama internazionale.

La Palma d’Oro di quest’anno, assegnata da una giuria capeggiata da Pedro Almodovar e composta rispettivamente da Maren Ade, Jessica Chastain, Fan Bingbing, Agnès Jaoui, Park Chan-wook, Will Smith, Paolo Sorrentino e Gabriel Yared è andata a The Square dello svedese Ruben Östlund. Si tratta di un premio forse non scontato, ma di sicuro meritato, che sancisce non solo la qualità di questo film in particolare ma dell’operato di questo regista in generale, già ampiamente acclamato per il lavoro precedente Force Majeure. È una idea di cinema infatti senz’altro encomiabile quella che in The Square ripropone il ritratto agghiacciante di una società vittima dei propri limiti, annichilita dal pregiudizio, rintanata nel proprio mondo (finché qualcosa di imprevedibile non accade ‘sparigliando’ drammaticamente le carte). L’immagine di un uomo integro e di successo ridottosi a ravanare tra i rifiuti in cerca di una salvezza morale, definisce la geometria perfetta e squadrata (una linea di confine tracciata sin dallo stesso titolo) di un’opera non solo accattivante dal punto di vista ‘artistico’, ma esemplare per il suo sguardo ferocemente ‘critico’ sulla società contemporanea.  

Il Grand Prix Speciale della Giuria è stato invece assegnato a 120 battements par minute di Robin Campillo, lavoro senz’altro interessante e degno di nota. Ispirato a una storia vera, il film ripercorre le fasi della nascita di Act Up, un'organizzazione di attivisti che ha richiamato l'attenzione delle conseguenze dell'AIDS. Tematiche forse già viste ma sempre toccanti, e sempre drammaticamente attuali; un’ottima regia al servizio di una storia toccante per un premio quindi assai condivisibile.

Alla celebre figlia d’arte Sofia Coppola va invece il Premio Miglior Regia per The Beguiled, che uscirà da noi il prossimo settembre con il titolo L’Inganno distribuito dalla Universal Pictures. Remake de La notte brava del soldato Jonathan e basato sull’omonimo romanzo di Thomas P. Cullinan, il film della Coppola porta a casa il premio senz’altro più nelle “sue corde”. Si tratta infatti di un’opera che fa della raffinatezza pittorica della regia il suo vero valore aggiunto, conferendo un’atmosfera di surreale sofisticatezza a questo vengeance movie tutto al femminile.

Diane Kruger, altrettanto meritatamente (non c’erano nel complesso dell’intero concorso interpretazioni che avrebbero potuto rubarle la scena) porta a casa il Premio Miglior Attrice per In the Fade di Fatih Akin, un film semplice ma incisivo dove il tema attualissimo degli attentati esplosivi viene affrontato dallo sguardo doloroso e tutto al femminile di una madre/moglie rimasta improvvisamente senza i suoi affetti più cari. Un film che ha diviso in quanto sfrutta un punto di vista ‘semplice’, e che forse ha il limite di non arrivare allo stesso modo a tutti, ma che potrebbe avere in sala il successo che non ha avuto tra le fila della critica.

Miglior Interprete Maschile di quest’annata il sempre più bravo Joaquin Phoenix che in You Were Never Really Here non interpreta solo una parte ma diventa il film stesso. Opera onirica e dalla regia ispirata, il film della scozzese Ramsay trova infatti nella presenza di Phoenix la chiave di volta per colmare in parte il limite di un film ‘a metà' e per certi versi troppo confusionario. Qui l’interpretazione fa davvero la differenza, e il premio è tra quelli più indiscutibili di quest’anno.

Di contro, appare ben più discutibile il premio alla Miglior Sceneggiatura sempre al film della Ramsey a pari merito con A Killing of a Sacred Deer del greco Yorgos Lenthimos. E se il film della Ramsey risulta narrativamente troppo ‘frammentario’ per aggiudicarsi addirittura un premio di sceneggiatura, il film del regista greco ha invece nello sviluppo del suo thriller psicologico senz’altro qualche merito in più. Fermo restando che sono con buona probabilità proprio questi due i premi più discutibili tra quelli assegnati.

Dulcis in fundo, un premio strameritato e assolutamente indiscutibile, ovvero il Premio della Giuria andato al Loveless del russo Andrei Zvyagintsev. Uno dei film in assoluto più amati (da chi vi scrive) per uno dei registi più talentuosi (il suo precedente lavoro Leviathan aveva lasciato il segno) di questo Cannes 70, una storia emblematica di famiglie disfunzionali e anaffettive dove il mutismo dei sentimenti diventa un silenzio che inghiotte tutto. Impeccabile sotto ogni punto di vista, questo - è tra i premiati - il film che resterà nel nostro cuore tra quelli di questa settantesima manifestazione. Una manifestazione che si è distinta per aver affrontato sotto svariati punti di vista l’arte e i suoi demoni, gli artisti, la creatività (e potremmo citare in questo filone molti titoli tra cui il The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach, il Rodin di Jacques Doillon, per certi versi anche il Wonderstruck di Todd Haynes, senz’altro il Le Redoutable di Michel Hazanavicius e anche l’Hikari, di Naomi Kawase), ma soprattutto per aver portato al centro del palcoscenico i malesseri e le difficoltà (più o meno attuali) della società nel suo complesso.

Dallo stesso Loveless passando per l’agghiacciante film ucraino A Gentle Creature di Sergei Loznitsa, o ancora per lo stesso The Square di Ostlund o per l’eufemistico Happy End di Haneke, o ancora per il dolore affettivo di Good Time e la disfatta borghese di The Killing of a Sacred Deer  di Yorgos Lanthimos, e per concludere con la tragica deflagrazione di In the fade, molti dei film in concorso hanno riportato in auge il dramma del vuoto che si genera quando la forma supera i contenuti, quando l’ideale sovrasta l’obiettivo, quando l’irrazionalità scalza l’etica. Insomma, tra attentati e crisi sociali all’ordine del giorno, tra insofferenze e ostilità razziali, sociali, geografiche, il Festival di Cannes di quest’anno ha assunto forse in linea con i tempi un tono di apprezzabile sobrietà, garantendo una sorta di rispetto nei confronti dell’andamento ‘critico’ dei nostri giorni, e una particolare attenzione alle tante riflessioni che bisognerebbe fare ogni giorno sul nostro ‘vivere’.  

Per concludere, molti hanno detto che è stata un’edizione sottotono, altri che i premi sono stati ‘mediocri’ e senza coraggio, ma sono voci che tutto sommato si ripetono uguali ogni anno, e non solo per quella sorta di falsa idea che ‘se più critico fa più bello’, ma soprattutto perché in fin dei conti dal Festival di Cannes ci si aspetta sempre tanto, forse troppo, senza considerare che alla fine (per chi ha la fortuna di esserci) ci sono i registi migliori in circolazione e si vedono in anteprima assoluta film che difficilmente cadranno nel dimenticatoio, e che di norma, anzi, dettano legge sulla qualità del cinema del momento, e che verrà. Attendiamo dunque fiduciosi la prossima annata, e intanto arrivederci Cannes!