Seminci – 63ª Semana Internacional de Cine de Valladolid. Day 3
Sembra una scommessa l’esordio cinematografico del trentenne svedese Gustav Möller, formatosi in Danimarca, paese che ha prodotto Den Skyldige (Il colpevole), un film di novanta minuti che definire girato all’interno di un commissariato sarebbe un eufemismo perché in realtà la cinepresa ritrae costantemente il volto del protagonista. Applaudito al Festival di Sundance e ora in concorso alla 63 SEMINCI (Semana Internacional de Cine de Valladolid), narra di un centro di ascolto dove l’agente Asger Holm (Jakob Cedergren) è stato relegato in attesa di giudizio per aver ucciso un giovane durante uno scontro. La telefonata di una donna che finge di parlare con la sua bambina, lascia intendere che è stata sequestrata: si trova in una macchina e non sa dove è diretta. L’agente riesce a mettersi in contatto con la figlia della donna che accusa il padre del rapimento della madre. Su approssimative indicazioni della donna, Asger Holm invia auto della polizia verso quello che dovrebbe essere un camioncino. Poi, avendo rilevata l’identitá del sequestratore lo chiama ma questi non accetta contatti. Non gli resta che aspettare una chiamata della donna, che risulta essere chiusa nel bagagliaio. Quando lo chiama, le suggerisce di colpire il marito appena apre il cofano. Lei ci riesce e scappa, ma questa volta il marito informa il poliziotto che la stava portando in un ospedale psichiatrico perché aveva accoltellato il figlio di pochi mesi. L’agente si rende conto del malinteso e decide di non lasciare il commissariato senza aver risolto il caso.
Fatalmente claustrofobico lo spazio concesso alla performance del protagonista, ma il thriller coinvolge anche attori dei quali si sente soltanto la voce e la tensione é assicurata fino alla conclusione. Nel contempo il film mette in risalto difficoltá e tranelli del lavoro di ascolto, e l’impatto di posizioni personali su rapide decisioni richieste da un crimine che provoca lacerazioni e problemi di coscienza.
In pieno sole, sotto i cieli dell’Andalusia, si svolge invece l’esordio di Nicolás Pacheco, sivigliano di 38 anni, pittore, scrittore e attore. Jaulas (Gabbie), in concorso per la Spagna, costituisce un’originale sorpresa. Parla di donne, donne coraggiose in una vicenda sul filo della legalitá in un ambiente di sopravvivenza economica. Concha, la figlia adolescente Adela, e un fratello rintronato, Antonito, vivono in uno sperduto paesaggio del sud, nella casa del suo compagno, Canario, un bruto che le tiranneggia. Per difendere la figlia, Concha scappa di notte impossessandosi del denaro sporco dell’uomo che investe casualmente durante una retromarcia col furgone scassato di un giovane ambulante rumeno. Ripara in un paese dove la sorella maggiore, Rosa, gestisce un bar di periferia. Capita nel mezzo di un funerale, e scopre che la sorella é piena di debiti e che ha un figlio drogato, momentaneamente irreperibile. Frattanto, il giovane rumeno che aveva iniziato un flirt con Rosa, sale sul furgone di un fornaio del paese che lo accoglie a casa e gli da un lavoro con la speranza di fargli sposare la figlia. A complicare la vicenda ci pensa Antonito, che getta la borsa con i soldi nella spazzatura e appare in Tv giocando al Bingo, e richiamando l’attenzione di due compari di Canario che sbarcano in paese e pestano Concha per riottenere i soldi. Pieno di colpi di scena, sempre in bilico tra dramma e commedia, e popolato da personaggi stravaganti, da criminali e da donne intrepide, il film racchiude in novanta minuti un universo mediterraneo, che sfugge totalmente all’attenzione della legge. Tra cronache di violenza e di povertá, incursioni nella favola e spunti di commedia, la metafora degli uccelli in gabbia naviga sul filo dell’ironia.
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