Seminci – 62ª Semana Internacional de Cine de Valladolid. Giorno 5

A un paio di giorni dalla conclusione la 62ª Seminci  ha presentato in concorso l’interessante film turco già visto e scritto da Karlovy Vary, Daha di Onur Saylak. A seguire,  il secondo film di Chloé Zhao, sceneggiatrice, regista e produttrice cinese, studentessa di scienze politiche al Mount Holyoke College del Massachusetts e di produzione cinematografica all’universitá di New York. Il film s’intitola The Rider (Il cavaliere), e a Cannes ha ottenuto il Premio Art Cinèma della Quinzaine. Ispirato dall’incidente occorso a un preparatore di cavalli, vincitore di molti rodei, Brady Jandreau, il film si avvale dell’interpretazione degli stessi protagonisti della vicenda. Si apre con Brady, operato alla testa dopo una rovinosa caduta. Allo specchio il giovane si toglie i punti della ferita. Sotto gli hanno inserito una piastra e gli è stato detto di non montare piú cavalli selvaggi perchè potrebbe essere l’ultima volta della sua vita. Il tema del film è subito chiarito. In una società rurale di uomini forti, Brady si sente un estraneo, e sebbene suo fratello, ferito in un rodeo di tori sia costretto su una sedia a rotelle, lui è impaziente di poter ricominciare. Il film dura poco piú di cento minuti e con un minimo di sceneggiatura trascorre descrivendo timori, tentativi e rinunce della giovane promessa del rodeo intervallate con sconfinate immagini della prateria. Fuor di dubbio che Brady, i suoi familiari e i suoi amici recitino bene sè stessi, come non è da mettere in dubbio  il piacere di coloro che frequentano i cavalli nel vedere la cura che il protagonista ha degli equini, ma allo spettatore  comune il film ha veramente poco da raccontare.

  Ha poco piú di trent’anni José María Cabral, nato a Santo Domingo e probabilmente il piú prolífico regista della Repubblica Dominicana con tre corti, tre documentari e tre lungometraggi. Il quarto film, Carpinteros (Carpentieri) è stato presentato in concorso alla 52ª Seminci. 106 minuti all’interno delle carceri dominicane di Najayo e la Victoria dove il regista lascia affiorare la storia d’amore tra Julián, incarcerato da poco, e Yanelly, la donna di un capobanda che ha scoperto di essere stata tradita. Dietro reti di protezione, i detenuti comunicano con un movimento delle mani che viene chiamato carpinteo, da qui il titolo del film. Julián comunica con Yanelly trasmettendo messaggi di Manaury, pericoloso  detenuto che detiene un potere nel suo settore, ma facendo da tramite, Julián incontra la simpatía della donna che ha perso fiducia nel suo ex e si innamora di lui.

  Il regista ha vissuto nove mesi all’interno del carcere per familiarizzare con l’ambiente e con i detenuti che ha fatto recitare nel film accanto agli attori protagonisti. Il dramma carcerario che ne risulta, oltre a mostrare le condizioni miserabili delle carceri dove la maggior parte dei detenuti dorme per terra e dove un calderone di brodaglia dovrebbe sfamarli, descrive il sogno di libertá che molti vivono riuscendo a comunicare messaggi che le guardie non decifrano. E in particolare mette a fuoco la nuova vita di Julián, detenuto senza speranza, rigenerato dall’amore. Non solo l’amore, peró. Nelle carceri latita la morte, e i due protagonisti dovranno fare i conti con Manaury che non ha gradito lo sgambetto. Per chi non soffre di claustrofobia e non disdegna i racconti carcerari va detto che il film contiene tutte le dinamiche del genere: soprusi, agguati, sotterfugi, scontri e rivolte attorno a due innamorati che devono mimetizzarsi se vogliono coronare il loro sogno d’amore.   

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