SEMINCI 2019: 64ª edizione della Semana Internacional de Cine de Valladolid. Giorno 2
Ha appena ottenuto il primo premio al Festival di Gand, Öndög, (L’uovo del dinosauro) del regista cinese Wang Quan’an presentato oggi in concorso alla 64ª Seminci di Valladolid. Diplomatosi nel 1991 all’Accademia di Cinema di Pechino e autore di alcuni film premiati alla Berlinale, il regista ha ambientato in Mongolia, terra di sua madre, una vicenda di vita, d’amore e di morte. Nella steppa, sconfinata e inospitale, una pastora vive sola occupandosi dell’allevamento di pecore, buoi e cavalli. Intorno a lei nessuno abita nello spazio di un centinaio di chilometri, ma quando viene ritrovato il cadavere di una donna e un giovane agente viene lasciato sul luogo per proteggere la salma dall’attacco dei lupi, le viene richiesto di collaborare con la guardia fino all’arrivo, la mattina successiva, degli esperti che si occupano del caso.
E il giovanotto morirebbe di freddo se la pastora non le portasse la cena. Non solo il capretto arrosto, ma anche la legna per il faló, di che coprirsi e alcohol in abbondanza. E dopo abbondanti bevute, la giovane donna insegna al ragazzo, che ha appena compiuto diciotto anni, i primi rudimenti dell’amore. Il giorno dopo l’assassino viene catturato, la salma portata in obitorio e l’agente torna in cittá. Passano giorni prima che la pastora scopra di essere incinta. Non sapendo se abortire, nel dubbio ne parla con un compagno che da tempo le chiede di sposarla.
Con protagonisti non attori, (Enkhtaivan Dulamjav, Norovsambuu), il film funge da introduzione a una latitudine poco frequentata, alla vita quotidiana nella steppa dove la modernitá è rappresentata dai telefonini, dalle auto e dalle moto, per non parlare del consumo di sigarette, ma i rituali e i comportamenti sono ancestrali. La natura è al centro di tutto, e il regista, autore anche di una sceneggiatura non scritta, ne illustra i vasti scenari durante 97 minuti, dalle gelide notti agli sconfinati orizzonti di sole sulla pianura battuta dal vento, senza dimenticare sentimenti e percorsi dei protagonisti.
E dal momento che figura in concorso, spazio anche per il film d’inaugurazione, Intemperie dell’andaluso Benito Zambrano che vent’anni fa esordì col premiato Solas e che ha realizzato altri film di successo prima di concedersi questa sorta di avventura nel Western. Di fatto ha adattato per gli schermi il romanzo omonimo di Jesus Carrasco, narrando di un undicenne che scappa dal villaggio dove un potente locale agisce da padrone assoluto. Siamo nel 1946, nella Spagna franchista, e il proprietario terriero ha deciso di non farsi scappare il bambino. Ricatta la sua famiglia e invia sulle sue tracce degli sgherri armati, che brutalizzano e uccidono povera gente pur di rintracciare il fuggitivo. Ne nasce una classica situazione da Far West nella quale il bambino incontra un pastore solitario, ex legionario nel Marocco spagnolo, il quale lo protegge dagli inseguitori. Si delinea un percorso a ostacoli dove a volte i due hanno la meglio e a volte soccombono, ma alla fine riescono a eliminare i malvagi anche se il pastore pagherá con la vita l’aiuto dato al bambino.
Prodotto da Spagna e Portogallo, il film dura 103 minuti, si svolge su terre aride bruciate dal sole e riesce a catturare l’attenzione del pubblico con un ritmo sostenuto, con frequenti scaramucce, e con brutali esecuzioni in una vicenda nella quale i cattivi sono sempre e volutamente cattivi, e i buoni morigerati ed ecumenici. Nei panni del pastore, Luis Tosar, attore molto in voga, appena visto a Sitges nel film Ventajas de viajar en tren.
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