Seconda settimana: è tempo di stare a casa. Film e serie tv viste, o riviste, sulle piattaforme streaming e non solo!
Seconda settimana di domicilio “coatto” nelle nostre magioni, il cineclub casalingo prosegue con le visioni di film e serie televisive. Questa settimana, tra gli altri, ho scelto di parlarvi di tre film americani, che non rivedevo da oltre vent’anni e che giacevano tra le fila della mia personale videoteca, tutti e tre accomunati dalla presenza di un brano musicale che ritorna per tutto il film o che diventa un elemento peculiare che caratterizza l’opera rendendola evocativa nel ricordo dello spettatore.
Visto mercoledì 18 marzo.
La morte corre sul fiume, 1955
Regia: Charles Laughton
Interpreti: Robert Mitchum, Shelley Winters, Lillian Gish, James Gleason, Peter Graves
Soggetto: Davis Grubb
Sceneggiatura: James Agee
One night of the hunter
One day I will get revenge
One night to remember
One day it'll all just end, oh
Oh oh, oh oh, oh oh
Oh oh, oh oh, oh oh oh
È il motivetto che il “pastore” Harry Powell canticchia nell’avvicinarsi alle proprie prede (non a caso il titolo del brano è Night Of The Hunter, come peraltro quello del film, in originale). Noir per eccellenza, dalle tinte espressioniste (valga per tutte le immagini del corpo di Shelley Winters immerso nel lago con i capelli che seguono l’ondeggiare della alghe), il pastore Harry Powell (una delle più importanti interpretazioni di Robert Mitchum) incarna quello che probabilmente era il vero bersaglio del film di Laughton (che all’uscita non ebbe molto successo) e cioè le comunità religiose ortodosse del sud degli Stati Uniti, il loro perbenismo e la loro connaturata ipocrisia. Scritto da James Agee, esperto degli anni della grande crisi (nei quali la storia è ambientata) Laughton utilizza chiaroscuri e controluce che enfatizzano l’atmosfera di favola “horror” che accompagna tutta l’opera. Il film, come detto, non ebbe molto successo e per Charles Laughton fu l’unica sua regia cinematografica. A rivederlo ora, in effetti, si colgono alcune ingenuità soprattutto nella costruzione e nell’evoluzione della storia, che solo in parte la fotografia elaborata e così espressiva riescono a colmare. Anche se, quelle due parole tatuate sulle nocche del predicatore Powell (“Hate” e “Love”) rimarranno sempre fortemente impresse nell’immaginario dello spettatore.
Visto Venerdì 20 marzo.
Piano, piano dolce Carlotta, 1964
Regia: Robert Aldrich
Interpreti: Bette Davis, Joseph Cotten, Olivia De Havilland, Agnes Moorhead, Bruce Dern
Soggetto: Henry Farrell
Sceneggiatura: Henry Farrell e Lukas Heller
Hush hush, sweet Charlotte
Charlotte, don't you cry
Hush hush, sweet Charlotte
He'll love you till he dies
Robert Aldrich nel 1964 dirige un noir psicologico ambientato in Louisiana.
Una grande casa, un efferato omicidio, un amore troncato sul nascere e grandi interpreti come Joseph Cotten, Olivia De Havilland, Agnes Moorhead e, naturalmente, Bette Davis Eyes.
C'è anche un giovanissimo Bruce Dern nei panni della vittima.
Siamo ancora nel Sud degli Stati Uniti, Carlotta Hollis vive nella grande casa di famiglia che da lì a poco dovrà lasciare perché espropriata per costruirci un’autostrada. E’ ormai una donna di mezza età, ritenuta a tutti una svitata anche per il suo passato: accusata dell’omicidio del suo amante quasi quarant’anni prima, ma non condannata per mancanza di prove. Vive da sola assieme alla sua fedele cameriera Velma (Agnes Moorhead), è ossessionata dalla morte violenta del suo amante di cui ancora, a volte, di notte, crede di sentire la presenza. A causa dei suoi problemi con le autorità per la casa che deve abbandonare, vengono in suo soccorso Miriam (Olivia de Havilland) sua cugina nonché amica di infanzia e il dottor Drew Bayliss (Joseph Cotten) vecchio spasimante di Miriam. Il film – che ebbe sette nomination agli Oscar – è un raffinatissimo noir psicologico che anticipa nello stile e nei contenuti un genere che negli anni successivi vanterà molti esempi. Il lento avanzare della storia verso la verità, il progressivo disvelamento della reale natura dei personaggi (e la conseguente squallida e sordida natura delle cose) fa di questo film un vademecum al quale il cinema successivo sicuramente ha fatto riferimento. In ultimo, c’è Bette Davis. Il personaggio di Carlotta Hollis sembra essere scritto pensando a lei. E, forse, è proprio così…
The Dead, 1987
Regia: John Huston
Interpreti: Anjelica Huston, Donald McCann, Helena Carroll, Cathleen Delany
Sceneggiatura Tony Huston
“Cadeva in ogni parte della buia pianura centrale, sulle nude colline, cadeva lievemente sulla torbiera di Allen e, più a ovest, sulle scure e tumultuose acque dello Shannon. E cadeva, anche, su ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove Michael Furey giaceva sepolto. S’ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima svaniva lentamente nel sonno mentre ascoltava la neve cadere lievemente sull’universo e lievemente cadere, come scendesse la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti”. John Huston incontra James Joyce e lo fa mettendo la sua ultima firma ad un capolavoro, The dead, uscito postumo nel 1987. Il regista americano mette in scena il racconto che chiude la raccolta di The Dubliners. Film crepuscolare e in costante accordo in minore, è un piccolo gioiello di tecnica cinematografica, girato in spazi ristretti con una molteplicità di personaggi, considerando anche che il regista lo diresse su una sedia a rotelle guardando attraverso la macchina fotografica, con i tubi dell'ossigeno al naso, costretto a far uso del respiratore per un enfisema polmonare ed assistito dal figlio Tony, che scrisse la riduzione per il cinema e dalla figlia Anjelica, una delle magnifiche interpreti. Poche volte il cinema è riuscito a rappresentare con tale fedeltà la forza espressiva di un testo, Huston ce l’ha fatta, commuovendoci ad ogni nuova rinnovata visione. Anche in questo film, c’è una canzone, eseguita dal tenore Bartell D'Arcy, alla fine della festa a casa delle sorelle Morkan. E’ un brano popolare irlandese, struggente, i cui ultimi versi recitano:
Oh the rain falls on my heavy locks
And the dew soaks my skin;
My babe lies cold in my arms;
But none will let me in
I Delitti di Valhalla, serie TV
Miniserie, Episodi 8
Anno 2019
Ideatore: Thor Palsson
Regia: David Oskar Olafsson e Thora Hilmarsdottir
Piattaforma: Netflix
È la fredda Islanda a fare da cornice a questo thriller tipicamente nordico. Netflix sembra aver sposato questo filone, basti ricordare la recente produzione di altre serie tv come la svedese Quicksand, la serie danese The Rain e il recente titolo norvegese Ragnarok. Valhalla era un riformatorio dove nel 1984 erano detenuti diversi ragazzi, ora diventati adulti. La serie inizia con l’omicidio di uno dei sorveglianti dell’epoca, al quale seguiranno altri delitti. È il primo caso di delitti seriali del paese e forse e anche per questo che ad affiancare la locale detective Kata (Nína Dögg Filippudóttir) viene chiamato un collega norvegese, di ritorno in Islanda (Björn Thors). Ci verrebbe da dire che la serie lascia un po’ freddini, anche per alcune leggerezze nella sceneggiatura, mal sopportabili anche se in una serie tv. L’opera, comunque, si lascia tutto sommato vedere, anche se affaticata dai molti personaggi che poco a poco affiorano, i quali non sempre si riesce ad inquadrare, anche a causa dei complicati nomi dei nostri amici islandesi... Che Odino vi assista!
The Outsider, serie TV
Miniserie Episodi 10
Anno 2020
Ideatore: Richard Price
Soggetto: Stephen King
Piattaforma: Sky
Riduzione televisiva dell’omonimo romanzo di Stephen King, l’opera inizia come una delle tante serie poliziesche: l’omicidio di un bambino. Le indagini condotte dal tenente Anderson (Ben Mendelsohn) sembrano orientarsi con certezza verso la colpevolezza di Terry Maitland (Jason Bateman, anche produttore esecutivo) l’allenatore della locale squadra d baseball giovanile. Tutte le prove sono contro di lui: il dna presente sulla scena del delitto, le numerose testimonianze, addirittura un video… se non fosse, che altre testimonianze ed altri video, collocano Maitland, all’ora del delitto, in un altro luogo lontano sessanta miglia… A questo punto, la serie ha un’improvvisa virata verso l’esoterico e il mistery. D’altronde, anche in questo caso, ci troviamo nel vecchio Sud, dove culti misterici e oscuri arcani, ancora sopravvivono, anche al tempo degli smartphone. Purtroppo, la tensione delle prime puntate va sempre più affievolendosi fino ad annacquarsi in un horror che alla distanza non regge più l’interesse dello spettatore. Anche i personaggi sembrano troppo ingabbiati in alcuni stereotipi dai quali non riescono a liberarsi, alimentando un senso di noia a cui solo la curiosità di come va a finire, riesce a tenere testa.
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