Ron Howard presenta il suo splendido Pavarotti alla Festa del Cinema di Roma
Arriverà nelle sale italiane solo per tre giorni, il 28, 29 e 30 ottobre con Nexo Digital, Pavarotti. Dopo Made in America e The Beatles: Eight Days a Week - The Touring Years, Ron Howard torna dietro la macchina da presa per regalare al pubblico il suo terzo documentario: ritratto intimo ed emozionante dell’artista e dell’uomo “Big Luciano”. Attraverso filmati mai visti prima, immagini delle performance più iconiche del tenore e interviste a familiari e colleghi, il film racconta la storia, la voce, i segreti di Luciano Pavarotti e il suo incredibile percorso: da figlio di un fornaio a superstar internazionale capace di trasformare per sempre il mondo dell’opera lirica.
Dai tempi di Happy Days, serie tv cult iniziata nel 1974, Howard ha trascorso i suoi successivi 45 anni spaziando dalla recitazione alla regia, dalla sceneggiatura alla produzione, da Richie Cunningham a due Premi Oscar: Miglior Film e Miglior Regia per A beautiful mind.
Alla Festa del Cinema di Roma per presentare il suo ultimo lavoro, il regista statunitense ha spiegato ai giornalisti che ebbe la fortuna di incontrare Pavorotti una sola volta nell’arco della sua vita e, nonostante quell’incontro sia stato di breve durata, rimase immediatamente affascinato dal carisma del Maestro. “Non sono un esperto di musica lirica - spiega Howard -, ed è per questo motivo che per realizzare il film ho letto molti libri su Pavarotti. Più mi informavo, più comprendevo le analogie esistenti tra la sua vita e alcune delle arie da lui cantate. Inizialmente ero infatti rimasto colpito dalla sua straordinaria carriera e dai suoi successi, poi ho però scoperto che dietro a quell’immenso artista si celava un uomo incredibile, una persona capace di vivere la propria vita con grande passione e totale dedizione a ciò che più amava”. Ed è proprio grazie a questa “scoperta” che il filmmaker di Apollo 13 ha deciso di voler mostrare agli spettatori l’umanità, la gioia, la sofferenza, i dolori, le vittorie e le sconfitte di Pavarotti.
“La sua è stata un’esistenza melodrammatica - continua il regista -, un viaggio complesso in cui le tante esperienze da lui vissute gli hanno condizionato l’intera vita. Ciò che più ammiro in Pavarotti è senz’ombra di dubbio la capacità che aveva nel vedere ogni singolo giorno come una nuova opportunità, e questa visione ottimistica della vita gli derivava dall’essere stato a un passo dalla morte durante l’infanzia”. A causa del tetano Pavarotti rimase per due settimane in coma e, come narrato da lui stesso nel documentario, una volta ripresosi comprese di avere ricevuto una seconda magnifica chance. Howard rende quindi omaggio al Maestro e alla sua sfrenata voglia di afferrare la vita, e il risultato di tale celebrazione è commovente, emozionante, indimenticabile. Sì, perché entrare nell’intimità di un “mostro sacro” come Pavarotti è un’esperienza davvero unica. Umile, umano, allegro, determinato e al contempo quasi fragile, questo è l’affresco che viene fuori del tenore modenese dipinto da Howard.
"Quando Nigel Sinclair - racconta il filmmaker - mi ha proposto un film su Pavarotti, ho trovato la cosa molto interessante. L'idea di poter approfondire la sua vita, mostrando al pubblico tanti aspetti eccezionali di quest'uomo, mi è piaciuta da subito. Quando poi ho capito che la famiglia del tenore non soltanto avrebbe collaborato, ma sarebbe anche stata disposta ad essere intervistata, sono stato estremamente contento. La prima moglie Adua Veroni e le figlie Giuliana, Lorenza e Cristina ci hanno permesso di accedere a video inediti, e molti dei rari filmati presenti nell’opera fanno parte della collezione privata di Nicoletta Mantovani, seconda e ultima moglie di Pavarotti". Tra le numerose persone intervistate, oltre ai tanti colleghi di Pavarotti e ai suoi manager, molto spazio è dedicato proprio alle donne da lui più amate: le due mogli e le tre figlie. A completare lo straordinario quadro dipinto da Ron Howard vi è una toccante testimonianza di Bono Vox, dove scagliandosi contro chi criticò le ultime interpretazioni del Maestro va in difesa di un gigante della lirica, di un tenore capace di infilare nove “Do di Petto” in un’unica esibizione senza mai sbagliarne uno, e, soprattutto, compie un atto di vero affetto verso un caro amico.
“Che vita che ha avuto!”, conclude entusiasta il regista. Già, una vita piena, un’esistenza strabordante. Grazie Ron Howard per avercela raccontata così bene...