Richard Gere racconta ‘L’incredibile vita di Norman’ nominando Trump

Era il lontano 1980 quando un giovane Richard Gere, nei panni del gigolò Julian Kay, mostrandosi a torso nudo nella famosa scena “del guardaroba” ottenne un formidabile doppio risultato: mandare in visibilio le donne di mezzo mondo... e far morire di invidia il cosiddetto ‘sesso forte’. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata in abbondanza, eppure, ad oggi, il fascino del 68enne attore statunitense pare non aver subito contraccolpi. Prova di tale affermazione è lo scompiglio che la sua presenza ha creato in un gruppo di ignare turiste che, passeggiando nel centro di Roma, si sono trovate, come si suol dire, nel posto giusto al momento giusto: di fronte al cinema in cui il bel Richard faceva il suo ingresso per presentare alla stampa L'incredibile vita di Norman, riuscita commedia diretta da Joseph Cedar e distribuita dalla Lucky Red.

Richard Gere interpreta con entusiasmo uno dei ruoli più interessanti della sua lunga carriera, quello del maturo ebreo newyorchese Norman Oppenheimer: tipico ‘venditore di fumo’ che millantando amicizie influenti vorrebbe utilizzare le sue false conoscenze come importante merce di scambio. In realtà Norman è però un perfetto ‘signor nessuno’ impegnato a voler ‘essere qualcuno’, e non per chissà quali ambizioni di potere, ma per ottenere quel rispetto e riconoscimento da sempre desiderati e mai raggiunti.

Il regista israeliano, nonostante alcune lungaggini e qualche prevedibilità nella narrazione, mette brillantemente in scena una satira politica amara e al tempo stesso tragicomica, dove il protagonista assoluto è un Richard Gere in stato di grazia che riesce a far innamorare il pubblico di un personaggio colmo di buoni sentimenti, scevro da qualsiasi forma di cinismo, vulnerabile, solitario e a tratti patetico, ma che resta pur sempre un opportunista, un ciarlatano e un vero truffaldino. Uno degli elementi che più colpisce nell’opera di Cedar è l’aspetto fisico con cui l’ex american gigolò si presenta sul grande schermo: nulla a che vedere con quell’immagine del ‘maschio alfa’ a cui gli spettatori sono da sempre abituati, anzi, esattamente l’opposto. Durante l’intero film Norman se ne va infatti in giro per le strade innevate della Grande Mela perennemente intabarrato in un lungo, e troppo stretto, cappotto color cammello, indossando inoltre sul capo una triste coppola dalla quale fanno capolino due vistose orecchie a sventola.

A tal proposito, in conferenza stampa, Gere ha raccontato: “ Insieme al regista abbiamo trascorso un’intera giornata a fare prove per costruire il protagonista, solitamente infatti lascio sempre molto spazio ai costumisti e all’intero cast per apportare modifiche al personaggio, ma alla fine sono sempre io che decido. Joseph, ad esempio, voleva cambiare i tratti del mio volto per evitare che fosse troppo facilmente associabile a quello dei personaggi da me interpretati in precedenza. Io, che ero appena tornato dall’India dove un mio amico aveva finito di girare un film in cui impersonava un alieno con delle enormi orecchie a sventola, dissi che avrei visto bene Norman con quelle buffe orecchie. A quel punto la truccatrice ha tirato fuori dal cassetto una specie di protesi di plastica, e inserendomela ci siamo accorti che il risultato era perfetto”. Riguardo alla caratterizzazione di Norman l’attore ha poi aggiunto: “La realtà è che Norman è fisicamente il classico personaggio dell’Upper West Side, rappresenta benissimo questo tipo di persona. Avendo vissuto a NY da quando avevo 20 anni, vi assicuro che di personaggi così ne ho visti a bizzeffe. Dunque l’immagine di Norman è venuta fuori dalla mia memoria con estrema facilità, l’unica cosa che ho dovuto fare è stata quella di lasciare che questo personaggio si muovesse liberamente, in poche parole: Norman si è materializzato da solo”.

Con un ritmo Klezmer, un retrogusto alla Woody Allen più che ai fratelli Coen, una pillola di accenno alla favola e all’onirico, L’incredibile vita di Norman porta lo spettatore a riflettere sull’attrazione suscitata dal potere e sulla conseguente crudeltà che esso comporta, d’altronde un Norman esiste in qualsiasi ambiente, come ben spiegato da Gere: “In realtà tutti conosciamo un Norman, nel giornalismo, in politica, in economia e così via dicendo. Ovunque vi sono persone di potere a cui intorno ruotano personaggi ai margini che cercano un varco per accedere nella loro sfera magica, e ciò a prescindere da ogni Paese, per questo possiamo definire Norman un tipo universale. Ciò che però lo rende unico è il fatto che egli sia un uomo di buon cuore, è vero, mente continuamente, ma la sua natura è quella di una persona buona, un individuo che realmente vorrebbe aiutare gli altri. Credo che oggi il mondo si basi esclusivamente su trattative e compromessi. Il Presidente degli Stati Uniti, ad esempio, vive di compromessi, ciò che fa non è mai spinto dal senso morale, e da un certo punto di vista questo fatto può ritenersi anche positivo. Certo, perché in un certo senso è come se fosse la nostra immagine speculare, come se ci guardassimo allo specchio e riconoscessimo queste caratteristiche. Ed è per questo motivo che potrebbe essere utile: per comprendere come realmente siamo e cercare quindi di modificare e migliorare i nostri comportamenti”.

Joseph Cedar, qui nella doppia veste di sceneggiatore e regista, ha centrato il bersaglio, e non soltanto per avere diretto un film profondo e al contempo leggero, ma soprattutto per aver mostrato agli spettatori un Richard Gere in un ruolo per lui atipico: una, forse, delle sue migliori interpretazioni. L’attore di Filadelfia, classe 1949, in questa pellicola mette in chiaro infatti, se ce ne fosse ancora bisogno, che le sue qualità attoriali vanno ben oltre la prestanza fisica e il sorriso malizioso. A completare il cast il sempre bravissimo Steve Buscemi nei panni del Rabbino Blumenthal, l’eccellente Lior Ashkenazi in quello del Primo Ministro israeliano, e la convincente Charlotte Gainsbourg.

E’ importante notare come con questo lungometraggio il sodalizio tra il filmmaker Over Moverman - qui come produttore - e Richard Gere, con cui ha già lavorato ne Gli Invisibili e in The Dinner, sembra rafforzarsi ulteriormente. E a conferma che è il cinema indipendente il vero motore che spinge tutt’ora Gere a calcare i set, l’attore afferma: “Mi avete chiesto se con questa interpretazione potrei vincere un Oscar. Non lo so, ma sicuramente quel riconoscimento mi servirebbe perché avrei molte più possibilità di realizzare un maggiore numero di film indipendenti”.

Sommerso da un’onda di giornalisti pronti a chiedere autografi, Gere, in jeans e camicia azzurra, scompare nei meandri del cinema Quattro Fontane. Si vocifera che il Dalai Lama lo stia aspettando a Pisa. Richard Gere, l’uomo che ha messo a repentaglio la propria carriera hollywoodiana a causa della sua giusta e sacrosanta campagna indetta a favore dell’autonomia del Tibet, potrebbe mai far attendere la Guida Spirituale Tenzin Gyatso? Ma sono domande da farsi?