Rara: Pepa San MartÃn parla di genitori omosessuali e speranze future
“Io ho molto rispetto, ma anche paura della parola ‘progressista’, perché andiamo avanti con gli anni ma gli omosessuali sono ancora oggetto di pregiudizi. C’è solo l’unione civile, non siamo uguali davanti alla legge. In Cile e in America Latina siamo figli della dittatura, c’è ancora la costituzione di Pinochet, è molto difficile sviluppare qualsiasi cambiamento sociale. Per questo i film latino americani attuali si ispirano a casi veri e il cinema sta prendendo una certa voce politica e di strada. Uno degli obiettivi più importanti, per me, era realizzare un film omosessuale ma che arrivasse anche alle famiglie che ancora hanno dubbi sull’argomento. Lo hanno definito un lupo con la pelle di pecora. Sembra molto soave e naïf, ma è a sfondo piuttosto politico e credo che quella sia la responsabilità che abbiamo come cittadini. Le leggi si fanno nelle grandi sale. ma siamo noi ad avere il dovere di umanizzarle”.
A Roma per presentare alla stampa Rara, in arrivo nelle sale cinematografiche italiane il 13 Ottobre 2016 grazie a Nomad Film Distribution, la regista cilena Pepa San Martín sintetizza così gli intenti del proprio lungometraggio d’esordio, riguardante una ragazza adolescente il cui padre vorrebbe ottenere la sua custodia e quella della sorellina, le quali vivono insieme alla madre omosessuale ed alla compagna.
Lungometraggio, oltretutto, basato su fatti realmente accaduti, in quanto spiega: “Ho conosciuto queste persone e, allora, ho cominciato ad entrare nel caso. Mi sono resa conto che vi sono anche altri casi, ma questo in cui mi sono imbattuta è stato il più grande. Per una famiglia perfetta credo siano importanti l’amore, la comunicazione, il rispetto per l’individuo e della differenza. Non solo in senso di omosessualità, ma, in genere, credo che una in famiglia ognuno si deve far carico di chi vi è dentro”.
Lungometraggio che desiderava brillasse, che avesse una fotografia molto buia, ma, allo stesso tempo, anche non poco folkloristica, per concepire il quale non si è ispirata a nessuno in particolare, pur avendo subìto influenze da cineasti del calibro di François Truffaut e John Cassavetes.
Lungometraggio che tiene a precisare – come già sopra accennato – è stato pensato per le famiglie, in quanto sente che gli adulti cambiano soltanto tramite i bambini e dichiara che il senso dell’umorismo è per lei importantissimo, una cosa molto seria, sebbene venga sempre preso alla leggera.
E, proprio a proposito di bambini, racconta: “Ho lavorato cinque mesi con le due protagoniste per preparare il loro rapporto ed è stato meraviglioso, perché lavorare con i bambini è molto diverso dal lavorare con gli adulti. Se gli adulti sentissero come sentono i bambini, sarebbero tutti grandi attori, perché i bambini non recitano, sentono. Nel film, poi, non c’è improvvisazione, ogni parola era scritta sul copione, ho lavorato molto lentamente con le ragazze per far capir loro le scene, ma ho anche approfittato della personalità delle due bambine”.
Prima di rivelare che, secondo lei, la speranza per un cambiamento nei confronti dei pregiudizi attuali sia nelle generazioni future: ”Nel mio paese il film è stato vietato ai minori di sette anni e questo, per me, già rappresenta una speranza, perché significa che i politici tengono a farlo vedere anche alle generazioni più giovani, quelle che saranno il futuro. I bambini sono la speranza”.