Pirati dei Caraibi: quando il tesoro non ha bisogno di essere cercato
All’alba del nuovo millennio, correva l’anno 2003 (in realtà qualcosa di meno quando partì l’idea), la Disney stava li ad arrovellarsi su come spingere una delle attrazioni di minor successo dei loro parchi a tema: quella dei pirati.
Che poi nessuno se la spiegava questa cosa, e che diamine! I pirati piacciono a tutti i bambini, spade, pistole, navi, gesta eroiche…
L’idea fu semplice: facciamo un film sui Pirati dei caraibi!
Quello fu il momento delle grasse risate al tavolo di Hollywood.
I grandi vecchi iniziarono a citare il disastro di Pirati (1986) da cui la Paramount non si capacitò mai. Polansky alla regia e Matthau come protagonista. Un budget di 15 milioni, levitato a 40 e un rientro di soli 6 milioni e qualche spicciolo. Volevano fare una sorta di Capitan Blood, che peraltro è il caposaldo del genere, ma nessuno all’epoca capì la grandezza di un film, spesso amaro, che sapeva prendersi in giro.
A questo punto, però,ogni produttore aveva ben chiaro un concetto: i pirati no!
Ma torniamo al tavolo di prima… i vecchi se la ridevano, ma anche i giovani non erano da meno, perché la Carolco Pictures (quella di Rambo e Terminator per capirci) era “saltata” sempre per colpa dei pirati. Corsari, correva l’anno 1995, era costato 115 milioni e sarebbe dovuto essere un kolossal spettacolare. Peccato che ne incassò solo 18.
In realtà il problema non fu di genere (i pirati), ma di regista. Il folle Harlin aveva sempre 3 cineprese in funzione e girò metri e metri di pellicola. Lui e la moglie, la protagonista Geena Davis, ordinarono così tanto centrifugato di verdure da riempirne un magazzino, il protagonista prescelto, Micheal Douglas, mollò tutto e lo script dovete essere rifatto da capo.
Quindi la morale era: niente film sui pirati!
Ma quel volpone di Jerry Bruckheimer non si lasciò infinocchiare e, insieme con la Disney, decisero che era il caso di riprovarci e alla grande. 125 milioni di dollari, un regista emergente, un protagonista iconico e 2 giovani spacca cuori. Ricetta servita.
Risultato? L’inizio del franchise e 635 milioni di dollari in tasca… qualcuno ride ancora a quel tavolo?
No, non ride più nessuno.
La Maledizione della Prima Luna, fantastica traduzione dell’originale Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl (vi prego di notare che si passa dal nome della nave a quello dell’astro e si tralascia l’inizio che definisce tutto il franchise), è sicuramente il miglior film del trittico iniziale. Grande ritmo, personaggi gigioneggianti, ma anche seri quando occorre, una trama solida che abbraccia tutti i temi del caso e che si muove all’interno dell’attrazione di Disneyland e un villain di tutto rispetto: capitan Barbossa (Geoffrey Rush).
Ovvio che a questo punto la macchina è in cammino. Depp è perfetto come Jack Sparrow e non ha intenzione di mollare, Verbinski si è rivelato essere un regista pazzesco con una chiara visione, molto più di quello che si voleva (d’altronde un tizio che ha intenzione di mettere su un western animato con protagonista un ramarro…) e la coppia Orlando “sonofighissimoedetereo” Bloom – Keira “sonoilvoltoincostumedelcinema” Knightley buca lo schermo come poche.
3 anni dopo il primo esce così Pirati dei Caraibi (ora il nome del franchise lo traducono): La Maledizione del Forziere Fantasma (che sarebbe Dad’s Man Chest, ma vuoi mettere ripetere la parola “maledizione” quanti spettatori in più ci darà).
E’ un film ancora in grado di dire la sua, che amplia la visione sul mondo piratesco, le sue leggi e gli avversari, come la Compagnia delle Indie. Ma al di la di scene memorabili, come quella del mulino (un po’ lunga invero), lascia trasparire un leggero senso di stanca. Ma il miliardo di incassi fa superare qualsiasi dubbio sulla necessita di un terzo capitolo (già pensato in fase di sceneggiatura e pure mezzo girato).
Un anno dopo eccoci di fronte a |Pirati dei Caraibi: Ai Confini del Mondo. Il cerchio finalmente si chiude terminando i sospesi del precedente episodio. Sono tutti un po’ stanchi, e si vede, siamo arrivati alle scene metafisiche, e il pubblico un po’ accusa, gli incassi scendono un pochino (ma siamo sempre intorno ai 900 milioni).
La colpa più grande di questo film è l’inganno. Si creano i prodromi per un’immensa battaglia navale e poi… l’amaro in bocca.
Il gruppo si saluta, Bloom spiega a tutti che è così che ci si sente dopo un’epica impresa, d’altronde lui ha fatto Il Signore degli Anelli e lo sa bene.
Ma Depp non ci sta. E che diamine, mica si può buttare al secchio una caratterizzazione così accurata…
Anche la Disney non ci sta… 900 milioni non sono un miliardo, ma sono bei soldi… facciamone un altro.
Prendiamo un regista diverso (anche perché Verbisnky sta proprio facendo quella cosa western assurda… Rango) tanto abbiamo Jack Sparrow. Qualcuno dice per scherzo, “ma si un regista di musical!”, qualcun altro non ha capito che stavano scherzando.
Ed ecco Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare, con Rob Marshall che deve gestire un’improbabile sequela di talenti: Depp, ovviamente, Penelope Cruz, Geoffry Rush e Ian McShane, tutta gente abituata ad essere al centro del film. Sarà uno spasso.
Una sceneggiatura non brillante, che cerca di salvarsi con la storia della sorgente dell’eterna giovinezza, un regista “canoro” dove nessuno canta, tanto già visto e poche idee vere, danno vita ad una sorta di zombie del genere.
Ma la cosa più incredibile è che gli incassi non cedono di un millimetro, anzi…
Alla Disney questo sembra un segno. Uno che aveva lavorato al Festival di S.Remo cita Pippo Baudo: “Comunque vada, sarà un successo!” e allora sia… facciamone altri!