Natalie Portman: da bambina prodigio in Léon a regista esordiente di Sognare è Vivere
Bellezza senza tempo, classe innata, eleganza asciutta, intelligenza raffinata e talento da vendere, queste sono alcune delle doti che caratterizzano una delle donne più amate di Hollywood: Natalie Portman. A soli 35 anni il ‘cigno nero’ ha già conquistato due Golden Globe, due Critics' Choice Movie Awards, un Premio BAFTA e un Oscar, cosa volere di più? E' presto detto: diventare regista. Capita raramente di imbattersi in attrici di gran successo che per sperimentare nuove strade decidano di allontanarsi, seppur momentaneamente, da quella zona di comfort che ha regalato loro fama e sicurezza economica. Ma la Portman, al pari delle sue colleghe Jodie Foster e Angelina Jolie, nonostante il machismo imperante annidato tra le maglie dell’industria cinematografica ha scelto con coraggio di passare all’altro lato della macchina da presa e dirigere il suo primo lungometraggio, Sognare è vivere: il ‘volere’, pur restando la conditio sine qua non, non sempre porta però ai risultati sperati.
Nata a Gerusalemme il 9 Giugno 1981 e trasferitasi con la famiglia negli Stati Uniti all’età di tre anni, Natalie Hershlag - figlia unica di Avner Hershlag, medico di origine polacco-moldava specialista nella fertilità, e di Shelley Steven, casalinga di discendenza americana che successivamente le farà da agente - venne subito indirizzata alla disciplina della danza. Tra le tante piccole ballerine della sua scuola, a venire scelta dalla famosa agenzia Wilhelmina Models per apparire in un prestigioso catalogo di moda fu proprio lei: fortuna? Non soltanto, perché quella bella bambina dai grandi occhi da cerbiatto doveva certo possedere un’aurea di fascino in più rispetto alle sue coetanee, tant’è che a dieci anni un responsabile della Revlon le propose di entrare a far parte del suo staff. La risposta fu negativa: “Non voglio fare la modella, voglio essere un’attrice”. I sogni sono difficili da realizzare, ma quando si hanno idee chiare, ambizione, spirito di sacrificio e, perché no, una famiglia mediamente agiata alle spalle, si è già a metà dell’opera.
Nel 1991 Natalie si trovò con Britney Spears a fare da eventuale sostituta alla protagonista del musical Ruthless!, e per favorire la sua futura professione d’artista i genitori trasformarono Hershlag in Portman, cognome della nonna materna più facile da ricordare. Quell’astuta mossa portò i suoi frutti, e tre anni dopo la Portman non solo debuttò nel cortometraggio Developing, ma fece innamorare tutti i ragazzini classe 1980 ricoprendo in Léon, di Luc Besson, il ruolo di Mathilda, una teen-ager capace di tutto pur di vendicare la morte del fratello. Ma, dato che l’unico patto stretto con i genitori era quello di non trascurare gli studi, l’allora tredicenne Natalie fu costretta a lavorare nel film durante le vacanze scolastiche, impegno che mantenne fino alla fine del liceo. E così, mentre i compagni di classe si godevano il meritato svago estivo dell’adolescenza, la tenace israeliana interpretava i personaggi di: Lauren in Heat - La sfida, al fianco di Al Pacino e Robert De Niro; Marty nella commedia indie Beautiful Girls, con Timothy Hutton e Matt Dillon; Laura in Tutti dicono I Love You, di Woody Allen; Taffy, figlia del Presidente degli Stati Uniti alias Jack Nicholson, in Mars Attacks! di Tim Burton.
Sebbene con una carriera in piena ascesa, la Portman si iscrisse alla facoltà di psicologia all’università di Harvard, confermando in un’intervista rilasciata al New York Post: “Non importa se l’università rovinerà la mia carriera, preferisco essere una donna intelligente che una diva del cinema”. Inutile dire che oltre ad essersi laureata nel 2003 con il massimo dei voti e all’aver imparato a parlare fluentemente l’ebraico, il francese, il tedesco, lo spagnolo, il giapponese e l’arabo, a dispetto della sua indubbia intelligenza anche la carriera di Natalie Portman è proseguita a gonfie vele. Donna di raffinata semplicità, tanto da venir paragonata all’inarrivabile Audrey Hepburn o alla ‘stilosa’ Grace Kelly, nelle vesti della Regina Padmé Amidala della trilogia prequel di Guerre Stellari la Portman verrà sempre ricordata come l’abitante galattica più alla moda: in quanto a stile, né la ribelle Jyn Erso, né la trafficante di rottami Rey, né tantomeno la principessa Leila sono infatti riuscite a superarla. Certamente, di invidie, la Portman se ne è procurate in abbondanza, basti pensare alle parole di fuoco che la compianta Carrie Fischer rivolse nel 2005 a George Lucas in una serata di gala in suo onore: “Hai avuto la sfacciataggine di far sì che questa ragazzotta, la tipa nuova che interpreta mia madre, la ‘Regina Armadillo’ o come si chiama, indossi un vestito e una pettinatura diversa ogni volta che oltrepassa una porta. Ho anche notato che usa dei fermagli, mentre a me li hai vietati sostenendo che questi nello spazio non esistono”. A onor del vero bisogna riconoscere che l’attacco della Fischer era indirizzato più a Lucas che alla Portman, ma questa è un’altra storia…
La saga di Star Wars, di cui la bella attrice, prima di prendervi parte non aveva mai visto un episodio tanto da confonderla con quella di Star Trek, non le procurò il successo sperato, anzi, dopo quell’interpretazione nessun regista volle più lavorare con lei. Grazie all’interessamento di Mike Nichols (autore de Il Laureato, per intenderci, e di Closer), con cui la Portman aveva collaborato nell’opera teatrale Il Gabbiano nel 2001, che la raccomandò ad Anthony Minghella (Ritorno a Cold Mountain), che a sua volta la segnalò ai fratelli/sorelle Wachowski, Natalie con determinazione e una meritata spintarella risalì la china dimostrando di essersi trasformata da bambina prodigio ad attrice di talento. Già, perché divenuta ormai maggiorenne e allontanatasi dallo stretto controllo familiare, nel 2004 accetterà di partecipare a Closer vestendo, o meglio svestendo, i panni della sensuale e fragile Alice, stripper americana in cerca di fortuna a Londra: interpretazione che le valse sia la prima nomination agli Oscar che il Golden Globe come Miglior Attrice non protagonista. L’anno successivo, riposta l’indimenticabile parrucca rosa di Alice, la Portman apparirà sul grande schermo con la nuca completamente rasata, intenta a lottare in un futuro distopico contro un Governo totalitario, nell’opera V per Vendetta diretta da James McTeigue e adattata e prodotta dai transgender Wachowski.
Per la bella attrice la scalata all’Olimpo della mecca del cinema proseguì senza sosta; collaborò infatti con filmmakers quali Amos Gitai, Miloš Forman, Wes Anderson, Mira Nair e soprattutto Darren Aronofsky che, nel 2010, scegliendola come protagonista ne Il cigno nero la porterà a vincere l’ambìto Premio Oscar, nonché un secondo Golden Globe. Galeotto fu quel set: durante le riprese del film la Portman si innamorò infatti del ballerino e coreografo Benjamin Millepied, che diverrà suo marito e padre dei suoi due figli, il primogenito Aleph, nome derivato dalla prima lettera dell’alfabeto ebraico, e l’appena nata Amalia. Ormai considerata Regina indiscussa di grazia e leggiadria, Natalie sarà la nuova donna immagine della campagna pubblicitaria televisiva dei profumi Dior, entrando nelle case degli spettatori di mezzo mondo. Chi meglio di lei avrebbe quindi potuto interpretare Jackie Kennedy, la first lady più elegante del pianeta? A detta di Pablo Larraín solo la Portman sarebbe stata in grado di indossare quel famoso Chanel rosa impresso nella memoria di tutti. Ed è così che, pur non aggiudicandosi un secondo Oscar, l’immagine allo specchio di Natalie/Jackie nell'abito firmato ricoperto di sangue del lungometraggio Jackie, dal pubblico non verrà facilmente scordata.
Con al suo attivo più di 40 opere - tra cui Planétarium di Rebecca Zlotowski, Knight of Cups e Song to Song di Terrence Malick - Natalie Portman ha trovato anche il tempo di inventarsi produttrice (PPZ: Pride and Prejudice and Zombies), regista e sceneggiatrice: qui si inserisce Sognare è vivere. Era prevedibile che una donna caparbia - vegetariana dall’età di 14 anni, poi convinta vegana - e culturalmente evoluta come lei, da sempre pronta ad appoggiare cause umanitarie e ambientali, non si fermasse alla sola professione di attrice. Ma a volte l’ambizione tira brutti scherzi, e dimostrazione ne è l’avere scelto, come esordio alla regia, di adattare per il grande schermo una delle più famose opere di Amos Oz: Una storia di amore e di tenebre. Le emozioni che scaturiscono dalla lettura del romanzo autobiografico scritto da Oz nel 2002, nel lavoro della Portman sfortunatamente si annullano in una messa in scena algida e a tratti troppo didascalica, e nonostante sia visivamente impeccabile, oltre che dotato di una perfetta cura estetica, il film finisce per naufragare in una narrazione frammentata che non rende giustizia al capolavoro letterario da cui è stato tratto.
Assistere alla proiezione di Sognare è vivere è un po' come trovarsi in un museo e ammirare magnifici dipinti ascoltandone la fredda descrizione fornita dalle cuffie guida: nessuna empatia. Pur riconoscendo alla Portman grande coraggio e ostinazione - i diritti del libro furono da lei acquistati nel 2007 e per ben otto anni si è dedicata a questo progetto -, è innegabile constatare che il risultato finale non sia purtroppo del tutto convincente. Sceneggiata, diretta, co-prodotta e interpretata dalla stessa Portman - che inizialmente non aveva previsto di recitarvi nel ruolo di protagonista, ma che per ottenere i finanziamenti necessari alla sua realizzazione dovette cedere alle richieste dei finanziatori - , l'opera, girata interamente in lingua ebraica e costata circa quattro milioni di dollari, racconta la storia di Israele dal 1945 al 1953 vista attraverso gli occhi di Amos, e le sue varie vicende familiari. Ma la nascita dello Stato di Israele farà soltanto da sfondo al tema centrale, basato in realtà sulla complessa figura di Fania e sull’amorevole rapporto con il figlio Amos. Il lasciare poco spazio agli eventi storici per concentrarsi su un eccessivo intimismo, fa sì però che il film risenta di momenti faticosi e, per molti spettatori, scarsamente digeribili. Eccellente nel ruolo di Fania, madre premurosa e donna troppo sensibile per vivere in un mondo dominato dall’orrore delle guerre, Natalie Portman offre comunque al pubblico una toccante e intensa interpretazione.
Non tutte le ciambelle riescono col buco, ma conoscendo la grinta della bella e brava israeliana siamo certi che in futuro ci regalerà un dolce perfetto... o quasi!