Nascita, morte, e resurrezione artistica di M. Night Shyamalan
Nascita e successo:
Nei primi anni Sessanta, per inseguire il ‘sogno americano’, Jayalakshmi e Nelliati Shyamalan, ambedue medici, dopo la nascita della primogenita Veena si trasferiscono in Pennsylvania. In America la coppia riesce sia a realizzare i propri desideri che ad integrarsi perfettamente nella società statunitense, ma, nonostante ciò, decide che il terzo figlio verrà al mondo in India: e così sarà. Manoj Nelliyattu Shyamalan nasce infatti a Mahe il 6 Agosto 1970 e, pur rimanendovi solo sei settimane, le sue origini influenzeranno l’intera sua carriera cinematografica.
La passione per la Settima arte si svilupperà in Manoj il giorno in cui, ad appena dieci anni, presa in mano una Super 8 trovata in casa inizierà a puntarla su ogni persona, o cosa, gli ruoti intorno. Il suo destino era dunque segnato? A posteriori la risposta è facile ma, a quei tempi, il padre aveva per lui altri progetti, il signor Jayalakshmi avrebbe voluto infatti che il figlio seguisse le sue orme, e fu soltanto grazie al sostegno della madre se oggi Shyamalan è diventato quel che è: un grande regista… checché se ne dica! A 17 anni il cineasta in erba ha già al suo attivo 45 filmini, ma il primo lungometraggio, il dramma semi-autobiografico Praying with Anger, arriverà solo nel 1992 mentre frequenta la New York University’s Tisch School of the Arts, dove, oltre che del cinema, si innamorerà di Bahvna, sua futura moglie. Nello stesso periodo trasformerà anche il suo secondo nome, divenendo così il M. Night Shyalaman che tutti conosciamo.
Nel 1998 esce nelle sale americane il suo secondo lavoro, Ad occhi aperti, in cui si intravedono alcuni dei temi spesso ricorrenti nella futura cinematografia shyalamaniana: l’infanzia, la morte, Dio. A tal proposito va ricordato che Manoj ricevette un’educazione cattolica e che, fin dalla più tenera età, frequentò assiduamente la chiesa di Penn Valley, il sobborgo di Filadelfia nel quale viveva. Ma il regista del Punjab, poco entusiasta delle discrete critiche ricevute, confessò all'amico montatore Andrew Mondshein che stava scrivendo un racconto di fantasmi intitolato Il Sesto Senso, che avrebbe venduto a un grande Studio hollywoodiano a patto che il protagonista fosse stato Bruce Willis: quando si hanno le idee chiare, anche ciò che appare impossibile può mutarsi in... possibile. Si dice che Shyamalan impiegò 12 mesi per scrivere la sceneggiatura, e 4 ore per venderla. Il resto è storia, e che storia! David Vogel, un lungimirante supervisore dei Walt Disney Studios, sborsò 3 milioni di dollari per acquisirne i diritti, ma, nelle alte sfere del famoso Studio, non tutti furono d’accordo, tant’è che Vogel si licenziò e il ‘pacchetto’ appena comprato fu ceduto dai suoi ex 'capi' - che si trattennero il diritto alla distribuzione e una quota sugli incassi al botteghino - alla Spyglass Entertainment: furbi, ma non troppo.
Costato circa 40 milioni di dollari, Il sesto senso, grazie soprattutto al geniale twist ending, ne ricaverà oltre 670. Da quel momento le Majors della mecca del cinema inizieranno a sgomitare per accaparrarsi il giovane ‘Night’ che, per la prima volta, assaporava il dolce gusto del meritato successo. Manoj infatti non scorderà mai il giorno del suo 29mo compleanno, data in cui il film debuttò negli Usa consacrandolo come il più promettente regista dell’intera galassia. Ogni cosa - si sa - ha però un suo prezzo, soprattutto una scalata repentina al firmamento, e l'essere osannati da pubblico e critica può rivelarsi a volte una lama a doppio taglio: avrebbe, Shyamalan, soddisfatto le attese? Se da un lato il trionfo di The six sense fu per lui motivo di gioia, dall’altro si configurò essere una pesante e imperitura pietra di paragone.
L’avvento del nuovo millennio regalò agli spettatori Unbreakable - Il predestinato (2000), dove Bruce Willis, smessi i panni dello psicologo, si trova a ricoprire quelli di un uomo qualunque che, sopravvissuto miracolosamente a un terribile incidente ferroviario, comincia a sospettarsi "indistruttibile”. Annunciato come un nuovo thriller sovrannaturale, furono in molti a temere che il film ripetesse la formula di quello precedente, ma questa volta l’autore non raccontava storie di fantasmi, bensì di ‘supereroi’. Prodotto dalla Touchestone Pictures - divisione cinematografica autonoma della Walt Disney Company che, senza tentennamenti, comprò la sceneggiatura al caro prezzo di 6 milioni di dollari -, la pellicola incassò la ragguardevole somma di 248 milioni, contro i 75 spesi. Nonostante le numerose critiche positive, non tardarono i primi detrattori che, lanciando frecce avvelenate contro Mister M. N. Shyamalan, lo tacciarono di essere un pessimo sceneggiatore, di non saper dirigere gli attori e di possedere scarsa originalità: il primo passo verso la discesa era stato compiuto. Nel 2009 Quentin Tarantino definì Unbreakable - Il predestinato come uno dei suoi film preferiti, e nel 2011 la rivista Time lo inserì al quarto posto della ‘Top ten’ dei Superhero Movies: riconoscimenti, questi, che se fossero giunti prima avrebbero forse evitato una così rapida discesa agli inferi.
Nei quattro anni successivi Shyamalan scrisse e diresse Signs (2002), e The Village (2004). Mentre il primo, interpretato da Mel Gibson e Joaquin Phoenix, anche se con qualche riserva venne accolto dal pubblico calorosamente, il secondo ebbe recensioni così contrastanti da creare una netta spaccatura sia tra gli spettatori, che tra i giornalisti dediti al settore cinematografia. Le accuse mosse al filmmaker erano le stesse ricevute nel passato: il finale a sorpresa appariva ripetitivo, e lo script estremamente debole. Pochi metri ancora e il capitombolo sarebbe stato rovinoso…
La caduta
Se fino al 2004, seppur con alti e bassi, la carriera di Shyamalan era stata costellata da svariate Nomination agli Oscar e ad altri importanti premi, nel 2006 tutto cambierà, perché le Nomination continueranno sì ad arrivare ma saranno quelle per i Razzie Awards: i ‘lamponi dorati’ assegnati ai peggiori attori, film, sceneggiatori, registi e via dicendo. Lady in the water (2006), ispirato a una fiaba scritta dal regista per le figlie, è il primo titolo del “poker del ruzzolone”, a cui seguiranno E venne il giorno (2008), L'ultimo dominatore dell'aria (2010), e After Earth (2013). Nel giro di sette anni Manoj Night rischiò di vedersi consegnare, anche se non direttamente in mano, ben 15 Razzie. In quel settenario, per sua fortuna, di lavori inguardabili se ne produssero molti, e il numero dei ‘Golden Raspberry’ vinti si fermerà a 6.
Il primo titolo di questo quartetto segnò il passaggio del regista dalla Disney alla Warner Bros, ma il divorzio dalla Casa di Topolino, come pure la realizzazione del film, furono abbastanza travagliati. Il risultato? Un flop ai botteghini e una sonora batosta dalla stampa specializzata. Eppure, a dispetto dei suoi limiti, Lady in the water è una favola straordinaria. Non sarà che il Gotha dei critici si sia sentito offeso dalla brutta fine scelta da Shyamalan per uno dei protagonisti? Beh, visto che il personaggio in questione altri non era che un poco intelligente critico cinematografico… a pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si indovina! In seguito a tale insuccesso, trovare un produttore disposto a investire denaro su E venne il giorno si rivelò impresa assai ardua, ma la 20th Century Fox prese a cuore il progetto e, dopo aver preteso una massiccia riscrittura della sceneggiatura originale, lo fece uscire in tutto il mondo un Venerdì 13: se il box office premiò Shyamalan, la crème de la crème della “critique de films” lo bocciò su tutta la linea.
Sorte peggiore toccò a L’Ultimo dominatore dell’aria, primo adattamento cinematografico di una futura trilogia, mai sviluppata, basata sulla serie animata statunitense Avatar - La leggenda di Aang. La stroncatura fu infatti globale: banale, noioso, inconsistente, pessimo cast, plot appena abbozzato. Con queste credenziali, reperire fondi per nuovi progetti sarebbe stato complicato per chiunque, ma la fortuna - o sfortuna! - volle che Will Smith avesse appena terminato di scrivere un soggetto, ed essendo egli un fan sfegatato di Mister Shyamalan, gli affidò l’arduo compito di portarlo a termine: la catastrofe After Earth arrivò puntuale come un orologio svizzero. Dato il tema fantascientifico dell'opera, il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung lo definì “spazzatura cosmica”, e il Wall Street Journal, citandolo come il peggior film dopo Battaglia per la terra, non fu da meno. Lo stesso Will Smith - che oltre ad essere l’interprete assieme al figlio Jaden, del film fu anche produttore - in un’intervista rilasciata nel 2015 alla rivista Variety, affermò: “After Earth è stato il mio più grande fallimento”. Shyamalan, in caduta libera, aveva toccato il fondo…
La resurrezione
A questo punto, verrebbe quasi da chiedersi se in passato il cineasta abbia rotto qualche specchio, ma, visto che nulla dura in eterno, anche i guai hanno una loro fine. La Universal Pictures, forse a conoscenza della maledizione ormai in dirittura di arrivo, distribuisce il suo 11mo lungometraggio, e Monoj, come l’Araba Fenice , risorge a nuova vita per tornare alle origini regalando al pubblico una sorprendente commedia nera ai confini dell’horror: The Visit (2015). Attraverso l’occhio della piccola telecamera, sempre presente nelle mani della protagonista, guardiamo The Visit come fosse un film nel film, un’operazione metacinematografica di forte impatto emotivo, un lavoro che sembra raccontare la passione per il cinema dell’autore stesso. Sebbene ancora lontano dal capolavoro Il sesto senso, il regista dimostra di aver ripreso fiducia in sé: “Non pretendo di piacere a tutto il mondo. Voglio soltanto continuare ad essere fedele a me stesso e andare avanti”. Con un budget di spesa di soli 5 milioni, ne porta a casa 99: la risalita era iniziata. Certo, non tutti apprezzarono il film, ma i denigratori, è noto, vivono appollaiati come falchetti pronti a gettarsi sulla preda prescelta. ‘E venne il giorno’ di Split (2016): un affascinante e terribile viaggio nella psiche turbata e frammentata di una mente estremamente dotata. Finalmente il sole ritorna a splendere nel cielo shyamalaniano, e i detrattori scompaiono tra i ramoscelli dei loro nidi.
Il Re del twist ending governa di nuovo il suo regno fatto di fantasia, inquietudine e spiritualità, un regno in cui il sovrannaturale si amalgama perfettamente al naturale, dove ciò che non riusciamo a vedere indica l’incapacità del nostro guardare: la distorsione visiva della realtà di cui, purtroppo, tutti siamo schiavi. Ben tornato Manoj Night Shyamalan e... chapeau!