Merry Christmas Mrs. Lawrence
Il cinquantesimo film di Nagisa Hoshima (ne farà altri 4 per la ragguardevole cifra di 54 in quarant’anni di onoratissima carriera) esce nel 1983 quando fu presentato in concorso al 36° festival di Cannes, dove non ottenne alcune riconoscimento (l’edizione fu vinta da un altro film giapponese La ballata di Narayama diretto da Shohei Imamura); ma che Merry Christmas Mr. Lawrence (nella versione italiana ed in quella di altri paesi europei “Furyo”, che in giapponese significa “prigioniero di guerra”) fosse un film destinato al successo e far parlare di se (ed a lungo visto l’ omaggio che gli rende la 34 edizione del TFF inserendolo nella sezione Festa Vintage assieme ad altri titoli che hanno segnato la storia della cinematografia mondiale) lo si capiva dal mix di attori ed incroci pericolosi che altro non sono che la trasposizione sul set dei contenuti che il film - tratto dal romanzo The Seed and the Sower (1963) di Laurens van der Post, autore di una trilogia dove racconta la sua esperienze di prigioniero di guerra durante la seconda guerra mondiale - pone elegantemente me senza tentennamenti per tutta la durata dell’opera.
Quattro attori di cui solo Tom Conti professionista del mestiere, due musicisti come Ryuichi Sakamoto (che compose una colonna sonora diventata un culto) e David Bowie, uno sconosciuto Takeshi Kitano che diventerà dopo pochi anni uno dei registi culto anche, e soprattutto, in Occidente ai quali Oshima affida l’arduo compito di destreggiarsi tra argomenti come Occidente ed Oriente ed il loro perpetuo contrapporsi su argomenti come onore e disonore, vita e morte, individuo e comunità, il tutto permeato da un tema come quello dell’omosessualità, osteggiata tanto in Occidente quanto in Oriente, ma che assume un connotato esplosivo se lo caliamo nel rigido mondo di un codice militare (giapponese!). Ma siamo in un campo di prigionia giapponese, durante la seconda guerra mondiale, e tutte le riflessioni hanno come paradigma la guerra e la sua intrinseca irrazionalità, fonte di ingiustizia suprema che non conosce rimedio.
Siamo a Giava, infatti, nel 1942 in un campo di prigionia giapponese dove sono detenuti oltre 600 prigionieri di guerra occidentali. A capo del campo c’è il giovane capitano Yonoi (Sakamoto) assieme al sergente Hara (Kitano). Tra i prigionieri vi è Il tenente colonnello inglese Lawrence (Tom Conti) il quale, avendo vissuto a lungo in Giappone, conosce lingua e cultura giapponesi e quindi funge da interprete e mediatore con i nipponici. L’arrivo dell’ufficiale neozelandese Jack Celliers (Bowie) sconvolgerà gli equilibri già precari del campo (Lawrence, infatti, viene accusato di tradimento dai suoi commilitoni per il suo atteggiamento ritenuto troppo connivente con i giapponesi che a loro volta considerano gli occidentali senza onore per accettare un regime di prigionia invece di compiere un suicidio onorevole). Yonoi è attratto dal giovane Celliers, un sentimento che lo condurrà, nonostante la vergogna che prova verso di esso, a mostrare esplicitamente la propria attrazione fino a farsi rimuovere dalla carica di capo del campo. Episodio che decreterà anche la condanna a morte di Celliers.
Un mix esplosivo, dunque, nel quale Oshima, il regista che scardinò con Ecco l’impero dei sensi il rigido prontuario di ciò che al cinema poteva e non poteva esser visto, si muove con estrema delicatezza, ma, come detto con decisione.
Due sono le scene/sequenze cardine del film
Nella prima, denominata scena del bacio, posta più o meno nella parte centrale dell’opera, Celliers/Bowie si oppone ad una decapitazione che Yonoi/Sakamato stava per eseguire. Un minuto e trentaquattro secondi di fortissima e violenta tensione culminante in un bacio - casto, anzi formale - tra Bowie e Sakamoto, diventato peraltro un’icona del "cinema gay". Campi e contro campi, con i primi piani dei due attori, la ripresa dell’incedere di Bowie tra i soldati giapponesi, il suo ergersi in piedi ogni qual volta veniva buttato a terra da Sakamoto: semplicità al servizio dell’efficacia.
Nella seconda, l’ultima del film, Lawrence va a trovare Kitano/Hara. Siamo nel ’46, Yonoi è stato giustiziato e Hara è stato appena processato per crimini di guerra e verrà giustiziato all’indomani. Lawrence è là per ringraziarlo e porgergli il suo ultimo saluto. Fu lui, la notte di Natale di quattro anni prima a salvargli la vita, e a salvarla a Celliers, facendoli fuggire dal campo dopo essersi ubriacato di sake. Nel dialogo tra i due - intimo e pacato, come quello tra due vecchi amici - scorre l’intero film. Hara è rammaricato, quasi incredulo della condanna che sta per subire, ritiene di esser vittima di un’ingiustizia. “In realtà nessuno è nel giusto”, gli risponde Lawrence, sancendo, in tal modo, l’impossibilità dell’uomo di riuscire a comportarsi in maniera razionale e ragionevole. Il buon senso non alberga in questo mondo, sembra voler dire Lawrence, e la sincera amicizia nata tra lui e Hara, nonostante le circostanze, nonostante i meridiani ed i paralleli di differenza, sembrano assolutamente dimostrarlo.
L’ultima inquadrature è di quelle che si ricordano, anche questa brillante per semplicità ed efficacia: Hara abbozza un sorriso e ripete e ripete: Merry Christmass Mrs. Lawrence, Merry Christmass Mrs. Lawrence.
Non è Natale, ma è come se lo fosse.