Making Of – come si realizza un film: Regression
Per la serie “Making Of – come si realizza un film”, sentiamo la voce del del cast e della troupe di Regression, la pellicola che segna il ritorno di Alejandro Amenábar alla suspense, il genere che caratterizzato il suo debutto cinematografico nel 1996.
D: perché Regression?
Amenábar: “Il termine ‘regressione’ significa, tra le altre cose, ritorno. Per me questo progetto significa rivisitare il mistero, ritornare al genere che ha segnato l’inizio della mia carriera con Tesis, un film che esplorava il potere quasi ipnotico che, a volte, la contemplazione dell’orrore può avere su di noi, è proseguito poi con Apri gli Occhi, un film allucinatorio e febbrile in cui sogni e realtà coesistono, e che poi è culminato con The Others, un tentativo di recuperare il sapore dei vecchi film di suspense classici. Cerco sempre cose che mi appassionano e mi motivano, quell’energia che a volte si trova esplorando cose che sono totalmente diverse. E’ per questo che ho esplorato generi diversi: dramma, horror, suspense, o il genere misto del film Agora.”
D: Regression offre diversi livelli di lettura per un pubblico diverso, ma soprattutto offre uno spettacolo in grado di intrattenere un pubblico vasto, in grado di apprezzare delle storie imprevedibili ed efficaci. Quale genere gli si adatta?
Amenábar “E’ un film di suspense fatto con serietà. Mi piacciono i film horror e di suspense che non siano fatti con una distanza ironica. Mi piace anche vedere i film horror ironici, ma in generale preferisco i film che prendono seriamente il genere. Regression non è un film horror. Parla delle paure, della fragilità della mente umana, di quanto possiamo spaventarci e di come la paura possa impedirci di pensare e vedere le cose chiaramente. Alcune delle cose che accadono in Regression sarebbero perfette nel genere horror, sebbene il film venga considerato un thriller psicologico, con alcune sfumature di giallo. E’ una pellicola che trae le sue influenze prevalentemente dai thriller e dai film horror americani degli anni ‘70: L’ Esorcista, Rosemary’s Baby...che hanno in comune un elemento di moderatezza che volevo ricreare anche qui. The Others si ispirava ai film degli anni quaranta, cinquanta e sessanta, mentre questo prende spunto dagli anni settanta. Volevo ricreare quel tono lento e moderato. Ma più di ogni altra cosa, volevo prendere molto sul serio la storia che raccontavo.”
D: Perché un film ispirato proprio a quegli eventi realmente accaduti negli USA durante gli anni’80?
Amenábar: “Ci furono una serie di fenomeni reali in cui le indagini della polizia, le consulenze con gli psicologi e la superstizione conversero nel tentativo di mettere assieme un puzzle strano e terrificante, rinominato poi ‘Satanic Ritual Abuse’. L’onda di accuse e confessioni fu travolgente, distrusse intere famiglie, generò caos e panico nella società e in alcuni casi ci furono conseguenze molto serie a livello legale. E’ stato molto interessante ripercorrere quei casi avvenuti negli anni ’80 e ’90 con la prospettiva del 21° secolo. Inoltre il Midwest è caratterizzato da ampi spazi che contengono dei mondi molto piccoli. Nel film vediamo una tipica città dell’America, con pochissime case, dove tutti conoscono tutti. In ambienti così chiusi il senso di colpa per aver commesso un errore si intensifica. La colpa è l’elemento che pesa maggiormente sui protagonisti.”
D: Girato interamente in inglese, Regression vanta un cast internazionale capitanato dall’attore americano Ethan Hawke e dall’attrice inglese Emma Watson. Come è stato lavorare con loro?
Amenábar: “Quando abbiamo iniziato le riprese, Ethan disse che si trattava della storia di un uomo che era addormentato. E la mia risposta fu: No, è la storia di una persona che è permanentemente sveglia, nulla gli sfugge. E credo sia riuscito a costruire un personaggio che è il detective più intelligente e sveglio della città ma che in un certo senso cammina nel sonno per tutto il tempo. La cosa che mi ha sorpreso di più dell’impegno di Ethan è il modo in cui riesce a trovare quell’energia estremamente contenuta in qualcuno che è così duro, e alla fine davvero spaventato. Emma Watson è una donna estremamente intelligente, ha un grande talento e comprendeva il progetto perfettamente. Quando giri un film come questo hai bisogno di complici, di persone che comprendano quello che cerchi di dire. E lei aveva le idee molto chiare quando è arrivata sul set. La difficoltà maggiore è stata quella di riuscire a trovare qualcuno che fosse in grado di spiegare la terapia senza lasciare spazio a dubbi.
D: Regression è una co-produzione internazionale con un budget da 20 milioni di dollari. Ci sono volute dodici settimane e una troupe formata da specialisti spagnoli e canadesi per completare la fase di pre-produzione, iniziata in Spagna e poi passata rapidamente su suolo canadese, ma la storia è ambientata negli USA
Fernando Bovaira (Produttore) “In un film come questo è davvero importante conferire credibilità ai paesaggi e ai set in cui l’azione si svolge. E questa era un’intenzione che Alejandro ci aveva trasmesso molto chiarament. Da una prospettiva economica, avrebbe avuto più senso girare gli esterni in Nord America e gli interni in Spagna. Ma girare un film è come fare un’immersione, e una divisione del genere in qualche modo ti obbliga a frammentare la truppe e la tabella delle riprese, perciò abbiamo preferito l’opzione di girare in un ambiente nordamericano, filmando quei paesaggi, quelle strade, quelle fattorie che conferiscono così tanta autenticità e realismo alla storia.”
D: Parlando della Regressione, che dà il titolo al film, come fare per rendere suggestivo qualcosa senza ricorrere ai soliti cliché?
Amenábar: “Abbiamo evitato di mostrare i cliché del mondo dei sogni e gli effetti speciali ogni volta che siamo entrati nella mente di John, Bruce o Rose. Abbiamo optato per una metodologia vecchio stile, giocando con la messa a fuoco. Vedere le cose fuori fuoco è un elemento importante del film. Accade anche nelle scene in cui viene inquadrata la parte posteriore della macchina. Daniel disse che le avrebbe girate come ai vecchi tempi. Anziché usare il blue screen, abbiamo fatto quelle sequenze nel modo in cui venivano fatte nei film di Hitchcock. E questo le rende più eleganti. Sono state le scene per le quali abbiamo trascorso più tempo per la pianificazione, e alla fine abbiamo scelto l’opzione più semplice, giocando con la messa a fuoco e le lenti e utilizzando la distanza focale più stravagante possibile. Tutto quello che abbiamo fatto è stato durante le riprese, e poi non abbiamo mai utilizzato gli effetti digitali. Abbiamo ritoccato parecchie cose, ma le visioni non sono sostenute dagli affetti digitali.”
D: Regression è stato girato nel corso di otto settimane in location naturali attorno a Toronto e nei Pinewood studios; è una storia ambientata in quel passato recente che era ancora ancorato nella cultura pre-digitale. E’ un viaggio attraverso il tempo che è stato incorporato nel film in una maniera speciale, come si replica la struttura dei film degli anni ’70?
Daniel Aranyó (direttore della fotografia): “Per ottenere quella tipica imperfezione realistica abbiamo scelto delle macchine da presa che simulano meglio, nel mondo digitale, quella struttura che conferisce uniformità alla pelle del viso, e poi abbiamo utilizzato immagini fuori fuoco, una cosa molto comune all’epoca. Questo ha permesso di rimuovere quella ruvidezza elettronica dei film contemporanei: sembra di vedere qualcosa accaduto in un’altra epoca, e sembra reale.”
D: Come, gli attori, iniziano a immedesimarsi nei personaggi?
Amenábar: Pensi di aver chiamato un attore a recitare nel tuo film, mentre è la sceneggiatura che lo ha attratto, e a quel punto gli attori iniziano a fare conoscenza e a trovare l’affiatamento tra di loro. Abbiamo fatto poche prove rispetto ad altri film, perché Ethan era disponibile solamente una settimana prima dell’inizio delle riprese. Credo che le prove siano durate una settimana al massimo. A volte servono per fare delle correzioni alle sceneggiature. Ti aiutano a decidere quali sequenze non funzionano o quali devono essere tagliate. Le prove ci hanno aiutato ad eliminare le scene non essenziali. Una volta effettuate le prove, si capisce quali scene sono troppo lunghe e come fare per riconfigurarle. In questo film abbiamo fatto questo particolare esercizio costantemente.”
D: C’è stata talmente tanta collaborazione che le stime dei costi di produzione sono addirittura state ottimizzate...
Amenábar: “La pre-visualizzazione ti permette di presentare il set in 3D. Per me, trascorrere un pomeriggio sul set in 3D è come investire un’intera settimana sul set reale. Il 3D mi permette di muovermi e di testare le lenti. Inizio a fare delle foto e poi da quelle viene realizzata l’animazione. Ho cercato di prepararmi il più possibile, anche se poi bisogna cercare di rimanere flessibili.”
D: Otto mesi dopo la fine delle riprese è arrivata la copia campione del film, dopo un processo di post-produzione molto meticoloso, guidato dalla stessa compostezza che Alejandro aveva chiesto ai capi dei diversi dipartimenti sin dall’inizio delle riprese, come anche nella fase di pre-produzione. Il team degli effetti digitali di El Ranchito, guidato da Félix Bergés, ha lavorato sodo e con grande discrezione. Parliamo degli aspetti tecnici di realizzazione:
Amenábar: “La cosa più sorprendente è stata che quando abbiamo cercato di inserire una sequenza digitale, molto ben fatta, la pellicola l’ha rifiutata. Per quanto riguarda il Suono, assieme a Gabriel Gutiérrez, abbiamo ugualmente optato per qualcosa di molto moderato.”
Gabriel Gutiérrez (tecnico del suono): “Per quanto riguarda le scene tipicamente thriller credo che la difficoltà fosse quella di riuscire a raggiungere un’intensità drammatica senza l’uso eccessivo degli effetti, come avremmo fatto se fosse stato esclusivamente un film horror. Nelle scene più propriamente poliziesche abbiamo cercato di ricreare atmosfere credibili e stimolanti che permettono al pubblico di immergersi nella trama e nei luoghi sullo schermo e avvicinano gli spettatori ai personaggi. Mentre le scene drammatiche sono senza dubbio il momento migliore per lasciare che i personaggi e la musica conferiscano tutta l’emozione.” Amenábar: “Per le sequenze più vicine a questo genere, si è cercato di conferire un effetto di imprevedibilità, come se i suoni fossero molto reali, quasi graffiando il microfono a volte, con voci provenienti da ogni direzione e un’esperienza che tende a sommergerti”
Gabriel Gutiérrez: “E’ stato fatto un lavoro scrupoloso anche nelle sequenze in cui il mondo tecno-analogico interviene direttamente sullo schermo. Siamo rimasti il più fedele possibile ai suoni di questo tipo di tecnologia analogica. Sin dalle prime settimane avevamo degli strumenti che usavamo per registrare e processare con l’intento di produrre questo tipo di struttura sonora. Abbiamo usato registratori analogici in alcuni casi, per la loro magia.”
D: La vera magia della colonna sonora del film si basa sul sincronismo perfetto tra il suono creato da Gutiérrez e la musica composta da Roque Baños.
Gabriel Gutiérrez: “Parte della descrizione Sonora dei personaggi fa affidamento su elementi del loro ambiente. Alcuni suoni appaiono o scompaiono a seconda della loro ubicazione o situazione, alcuni sono maggiormente espliciti, altri più subliminali. Ci sono suoni che accompagnano i personaggi e sono alterati a seconda del loro stato mentale.
Roque Baños (compositore): “Per accompagnare i sentimenti di questi personaggi che sono pieni di ombre, più che di luce, ho cercato di comprenderli, ho cercato di capire perché si comportano in quel modo. Ho cercato di mettermi nelle loro scarpe per essere capace di esprimere ciò che provano, anche se non condivido i loro comportamenti. E’ l’unico modo per mostrare alle persone quello che accade dentro di loro.”
Amenábar (ha composto le musiche dei suoi primi film, ma in questa circostanza e per la seconda volta nella sua carriera ha lasciato il compito nelle mani di un altro compositore): Roque mi ha mostrato tutte le sue idee, anche la suite iniziale di quindici minuti, che ha scritto ancora fuori sincro con il film, per chiedermi un parere: era come se mi avesse letto nella mente. Roque è più bravo di quanto si pensi. E’ molto adattabile e scrive estremamente bene. Per il satanismo, che avevo sempre immaginato ‘dissonante’, ha creato un tema che a volte assomiglia a una canzone gregoriana e a volte una ninnananna, e funziona perfettamente.”
D: Regression è il sesto film del regista spagnolo, il terzo in inglese, con un team internazionale. Fedele al suo impegno, di offrire le storie migliori a un pubblico globale, è riuscito ancora una volta a creare per il team coinvolto nel progetto una formula che trascende le barriere linguistiche. “Sono cresciuto guardando così tanti film americani che mi sembra di identificarmi con essi,”. Com’è stato lavorare con Amenábar? I giudizi di cast e troupe:
Carol Spier (Scenografa): “Sa quello che vuole, guardando le fotografie e le location, non ho avuto difficoltà a comprendere verso quale direzione volesse andare. Cercava un’America della classe medio-bassa e voleva che fosse realistica. Perché si tratta di eventi reali, è tutto accaduto davvero, doveva apparire molto vero.”
Emma Watson: “In qualche modo ha tutto quanto ben chiaro nella sua testa. Sa esattamente quello che vuole da te e ti rende facile riuscire nel tuo compito. E’ molto preciso.”
Daniel Aranyó: “Mi sono divertito molto assieme ad Alejandro, sembrava che non fossimo certi di dove ci stessimo dirigendo, ma per tutto il tempo mi sono sentito guidato da lui. Quando sai in cosa ti stai cacciando dall’inizio, non è così eccitante. Mentre con Alejandro ti senti sempre vivo.”
Ethan Hawke: “E’ una persona molto intelligente in grado di comprendere il tono e lo stato d’animo. “
David Thewlis: “Alejandro è stato molto calmo, è stato uno dei set più calmi su cui sia mai stato. E’ molto affettuoso, gentile, ma sa quello che vuole. Fa molti ciak. Ed è fermo nelle proprie idee, anche se è una persona molto gentile e delicata.”
Sonia Grande (Costumista)“Non è la prima volta che lavorando assieme ad Alejandro Amenábar mi capita di riflettere sulla sua scrittura, i suoi film, il mondo che inventa, le sue geografie, i suoi personaggi, che sebbene siano spesso basati sul “realismo,” necessitano che quella realtà sia sviluppata in maniera plastica, con un approccio altamente realistico, Qualcosa di simile lo si trova nella pittura realista, con temi che sebbene siano apparentemente collegati alla vita quotidiana, scelgono delle immagini di natura morta, non osservate dalla società, direi addirittura scartate dalla società. Credo ci sia questo alla basa dell’estetica di Alejandro, che ci fa scivolare in un viaggio profondo nel suo spazio mentale. Parliamo di realtà? Si. Ma è la realtà che proviene dalla mente dopo essere stata processata dagli esseri umani. Parliamo di geografia mentale.”