La 17esima edizione di Alice nella città apre le danze con una serie di donne forti e determinate

Giunta alla sua 17esima edizione, Alice nella città,  la sezione autonoma e collaterale della Festa del Cinema di Roma, sfoggia sin dall'apertura – giovedì 17 ottobre – una collezione di personaggi femminili forti, determinati, caparbi, perfettamente in linea con l'attuale epoca del #MeToo e con tutte quelle iniziative volte a proporre, promuovere e premiare il gentil sesso all'interno di un sistema purtroppo ancora molto patriarcale (se non addirittura maschilista).

Al di là del fil rouge su cui fa leva la kermesse dedicata al pubblico più giovane, quest'anno è possibile (e consigliabile) recuperare una serie di titoli passati per varie altre manifestazioni e difficilmente distribuiti nei nostri circuiti cinematografici. E sono titoli ai quali fanno riferimento anche nomi di attori affermati quali Benoit Magimel, James Badge Dale e Benoit Poelvoorde.

A legarli ci pensano in qualche modo le protagoniste: giovani donne, per lo più teenager, dotate di una forza incredibile, ricche di sfumature e talvolta oberate di responsabilità molto più grandi di loro, capaci di affrontare situazioni al limite delle loro possibilità e di riuscire a cavarsela contro ogni aspettativa. Inserite in contesti familiari da cui spesso provengono i problemi, queste ragazze affrontano l'esistenza in maniera diretta, viscerale, quasi aggredendola ed abbracciandone la sofferenza per volgerla a loro favore, per cui non è assolutamente contemplato arrendersi e gettare la spugna, ma anzi diventa quasi un obbligo morale far sì che le cose vadano a posto, anche a costo di sacrificare se stesse ed i propri sogni.

Ne è un esempio lampante la protagonista di Mickey and the Bear vincitore del Gran Jury Prize all'Independent Film Festival di Boston – interpretata dalla bravissima Camila Morrone e diretta dalla giovanissima Annabelle Attanasio (classe 1993), che deve fare i conti con un padre veterano e tossicodipendente (James Badge Dale), a scapito non solo delle sue giornate da adolescente, quanto soprattutto del suo stesso futuro. Ambientata in una piccola cittadina del Montana, la pellicola riesce a trasmettere con un vigore ed un realismo tangibili uno spaccato di vita complesso e delicato, dove i ruoli possono invertirsi ed una figlia vedersi costretta a fare da genitore al padre. Grazie anche alle straordinarie performance attoriali, il messaggio arriva chiaro e preciso, andando ad imprimersi oltre il territorio noto della coscienza, in un substrato più intimo e profondo. 

Il tema dell'identità e di una propria indipendenza entra in gioco in maniera preponderante qui come in Lola di Laurent Micheli, un'opera seconda che fa del rapporto padre-figlia solo un pretesto al fine di raccontare (e approfondire) ciò che si nasconde dietro la figura della protagonista: Lola (Mya Bollaers) un tempo era Lionel, ed ora vive in una casa-famiglia dopo essere stata cacciata di casa per la sua decisione di cambiare sesso. Sviluppato a mo' di road movie, il film permette di entrare gradualmente in contatto con le personalità coinvolte, esibendone vizi e virtù, senza mai giudicare ma lasciando che ciascun sentimento emerga nella maniera più naturale, istintiva e potente possibile. L'amore che è alla base della relazione e che in nessun caso potrà mai venir meno, seppur celato da preconcetti e chiusure mentali, si rivela in piccoli ed inaspettati gesti come un abbraccio “rubato”.

Ma l'amore ha svariati modi di manifestarsi ed ecco allora che quello tra fratelli e sorelle può (e deve) assumere un ruolo altrettanto fondamentale nella crescita e nella salute di un giovane essere umano: in The Dazzled – debutto registico per l'attrice Sarah Suco, vincitore del Prix Cinéma alla Barrière Foundation – è Camille (Camille Cottin), dodici anni, a farsi carico dei tre fratelli più piccoli e a rendersi conto della grave situazione in cui i genitori li hanno cacciati. Andando contro tutto e tutti, in primis se stessa e la sua passione per il circo, capirà quale sia la strada migliore da percorrere e, soprattutto, a chi rivolgersi per chiedere aiuto.

Simile per certi versi il discorso sulla quindicenne Leigh (un'altra eccellenza nella persona di Frankie Box) di Perfect 10: anche qui a fare da fulcro alla vicenda ci pensa il rapporto fraterno, se non che sarà proprio l'arrivo imprevisto di un fratellastro di cui non sospettava nemmeno l'esistenza a permettere alla giovane protagonista di ritrovare una sua serenità, un equilibrio necessario per portare avanti i suoi sogni, andando a colmare quel bisogno di attenzioni dal quale cominciava pericolosamente a dipendere. La pellicola, diretta dalla scozzese Eva Riley, è il classico esempio di ottimo cinema indipendente, capace di mescolare dramma e commedia con pochi semplici tocchi e di dargli una sua identità forte ed originale. La musica, il mondo della ginnastica e quello clandestino delle moto entrano così in relazione andando a caratterizzare brillantemente i protagonisti della storia e a travolgere con la loro energia lo spettatore in sala.

Un'altra forma di amore è quella rappresentata in Adoration di Fabrice Du Weltz, che chiude in tal modo la sua trilogia – iniziata nel 2004 con Calvaire e proseguita con Alleluia (2014) – e che racconta una variante di questo sentimento, molto vicina alla malattia e all'ossessione (da qui forse il titolo dell'opera). Sebbene il protagonista sia Paul (Thoms Gioria), un dodicenne che vive con la madre e del quale sembra subire un fascino fuori dal comune, è Gloria (Fantine Harduin), una giovane ed affascinante paziente dell'ospedale psichiatrico in cui lavora la donna, ad innescare tutta una serie di situazioni che porteranno i due a vivere un'avventura tanto pericolosa quanto liberatoria.

Ed è appunto la libertà, intesa sia in senso fisico che mentale, un altro tema fondamentale delle pellicole sopraccitate, alla quale si aggiunge Bull della texana Annie Silverstein: costretta a dover lavorare per il suo vicino appassionato di rodeo, Kristal (Amber Havard) – mai nome sarebbe stato più significante – scopre un nuovo modo di esprimersi e di essere se stessa, liberandosi al tempo stesso del peso di un destino avverso che ha voluto la madre in un penitenziario di stato e che avrebbe probabilmente portato anche lei a seguirne le orme. Convincente ed emozionante, la pellicola si sviluppa attraverso il rapporto tra la ragazza e l'uomo, grazie al quale si arriva ad un momento di presa di coscienza e di consapevolezza imprescindibile.

Da tutto ciò quindi emerge un messaggio importante, un desiderio di spingere e stimolare le giovani donne a non farsi schiacciare, ad elevarsi e a mettere in campo all'occorrenza quell'inifinta riserva di abilità, sensibilità e quant'altro si nasconda dietro il semplice aspetto. Alice nella città mostra loro degli esempi, andando a pescarne qui e là, nelle varie cinematografie del mondo, e spaziando tra i generi. Ma è solo l'inizio...