Karlovy Vary International Film Festival, 56ª edizione - Giorno 6
Il penultimo film in concorso al 56° Karlovy Vary International Film Festival è la seconda regia di Sadaf Foroughi (Teheran 1976), Tabestan Ba Omid, liberamente tradotto in inglese Summer with Hope. Volendo rappresentare il controllo che le autorità iraniane tengono sulle nuove generazioni, la regista ha scritto e diretto una vicenda che ha come protagonista un adolescente, Omid, che sta per compiere diciotto anni e che desidera partecipare a una gara di nuoto in mare aperto. Avendo soltanto il permesso di gareggiare in piscina e un invito per l’evento in mare si presenta con la madre, ma non viene ammesso alla gara. Tornato a casa, elude l’attenzione dei suoi e va ad allenarsi con un amico. E svicola spesso pur di riuscire ad affermarsi. Sfortunatamente, aggredito in mare, riesce, ferito e privo di sensi, a guadagnare la riva, ma l’amico muore. Accusato di omicidio, viene arrestato. Dopo un lungo chiarimento con la madre, Omid denuncia i due aggressori, e otterrà il permesso di gareggiare.
Novantanove minuti di un film molto parlato, spesso claustrofobico, che nella seconda parte scopre le carte e diventa più animato. Sadaf Foroughi, attrice, produttrice, realizzatrice di corti, risiede in Canada e ha studiato cinema in Provence e a New York. Nel 2017 ottenne un grande successo il suo primo film, Ava, premio Fipresci al Festival di Toronto, e considerato il miglior esordio canadese dell’anno.
Ultimo film in concorso, Tenéis que venir a verla (Dovete venire a vederla) del quarantenne Jonás Trueba, figlio del regista Fernando Trueba, (Belle époque), e autore di altri cinque film, incluso La virgen de agosto che era in concorso a Karlovy Vary nel 2019. Il tema è la campagna, introdotta nel film dalla canzone “Let’s move to the country” cantata da Bill Callahan. E Trueba lo fa con un’atmosfera alla Eric Rohmer, soft e decantata, aprendo il film con due coppie di trentenni che ascoltano un concerto al pianoforte. Non si vedevano da mesi, perché una coppia vive fuori Madrid, e non manca l’invito a recarsi in campagna. E’ un freddo inverno madrileno, e soltanto sei mesi dopo gli amici si ritrovano alla stazione del paese, in piena estate. Durante il pranzo parlano dei vantaggi e degli svantaggi di vivere in una bella residenza dove i contatti avvengono essenzialmente tra genitori che portano i figli a scuola. Discutono anche di un libro che parla di nuovi valori e di comportamenti che cambiano, e finalmente vanno nei campi, tra boschi e prati, per assaporare atmosfere dimenticate. Il film dura soltanto 64 minuti, e può essere considerato un pamphlet, ma anche una sonata. Tenta di mettere a fuoco il diradarsi delle relazioni sociali e la difficoltà di cambiare abitudini in un mondo in continua trasformazione. I quattro protagonisti: Itsaso Arana, Vito Sanz, Francesco Carril, Irene Escolar.
Un altro concetto di campagna viene da un originale film cinese Yin ru chen yan, tradotto: Ritorno alla polvere, sesto film di Ruijun Li (1983), nella sezione Orizzonti. Lungo 131 minuti e con un inizio lento e cupo, il film descrive in crescendo la vita semplice di una coppia di contadini: lei è Guiying, sterile e zoppa; lui, Ma, lavoratore e taciturno. Dopo un inizio nel contesto familiare e con la descrizione delle difficoltà per ottenere una soddisfacente visita medica, il regista mette a fuoco il lavoro nei campi e la relazione tra i due. Con l’ausilio di un somaro, marito e moglie fanno di tutto, dalla semina al raccolto, alla mietitura, alla preparazione di mattoni e alla costruzione di una nuova casa. Li vediamo di giorno e di notte, sotto il sole e sotto la pioggia, sempre dediti al lavoro e al rispetto delle regole. E ci sono dei momenti nei quali spuntano ricordi, pause che permettono riflessioni e affettuose attenzioni per il partner, ma nessuna ombra di sentimentalismi. E’ un amore tenero e rispettoso, destinato a dissolversi col tramonto del mondo contadino sopraffatto dalle imprese e dai macchinari della nuova Cina.
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(Foto: Yin ru chen yan)