Karlovy Vary International Film Festival, 56ª edizione - Giorno 5
Il Festival di Mosca ai tempi dell’URSS arrivò a invitare 117 paesi e a inventarsi altrettanti premi per non deludere nessuno. Al quinto giorno del concorso del 56° Karlovy Vary International Film Festival nasce il sospetto che l’inclusione del documentario bulgaro Edna provintsialna bolnitsa di Ilian Metev, Ivan ?ertov, Zlatina Teneva tra gli altri undici film di finzione sia più un obbligo che una scelta. Sono 110 minuti tra corridoi e sale di un ospedale di provincia con pazienti affetti da Covid19. Non ci sono storie individuali, né una drammatizzazione del racconto, ma soltanto situazioni viste e riviste durante due anni di sofferenze nelle quali si ricorda ai pazienti che senza ossigeno si muore!
Chi, invece, propone una situazione drammatica e la svolge brutalmente fino alla conclusione è il giapponese Tooi tokoro (Una riva lontana), terzo film di Masaaki Kudo. E’ ambientato a Okinawa, famosa per la battaglia della seconda guerra mondiale e oggi un’isola del sud del Giappone con tutti i problemi dei nostri tempi. Al centro del racconto una diciassettenne, Aoi, già madre di un bimbo di due anni, Kengo, la quale vive in ristrettezze col compagno pigro e violento, Masaya. La ragazza lavora come hostess in un bar e mantiene la famiglia perché il convivente è sempre ubriaco: lavora in un cantiere, ma si fa licenziare. Il problema è il piccolo Kengo, lasciato a volte alle cure della madre di lei, spesso oggetto di dispute tra i genitori. Quando, durante un’ubriacatura Masaya la picchia selvaggiamente, l’adolescente si reca in ospedale e comincia a chiedersi cosa fare. L’improvvisa incarcerazione del compagno, per aver malmenato tre clienti di un bar, e la richiesta di una cauzione di 300.000 yen, spinge Aoi a cercare un lavoro, ma la giovane età e la mancanza di referenze non l’aiutano. Alla fine accetta di prostituirsi con personaggi altolocati, ma i soldi non saranno per la cauzione: decide di riprendersi il bambino e di andare a vivere altrove.
Film crudo, di oltre due ore, su quello che alla fine dell’Ottocento si chiamava percorso di perdizione, e che qui funge da riscatto per un essere semplice e indifeso che diventa artefice delle proprie azioni. E mostra un aspetto meno noto del Giappone, quello dei bassifondi, e di una gioventù sbandata quasi a dire che la globalizzazione non ha patria, e neanche le ingiustizie. La protagonista è Kotone Hanase.
L’eccellenza nella sezione Orizzonti. Klondike della quarantenne ucraina Maryna Er Gorbach, premio di regia al Festival di Sundance e riproposto dalla Berlinale, è una drammatizzazione rigorosa di fatti realmente accaduti. E anche una chiave per capire l’attuale conflitto russo-ucraino. Luglio 1914, un villaggio del Donbas al confine con la Russia: una cannonata sfonda la parete di una casa. All’interno, Irka, incinta di sette mesi, la considera una provocazione tra le molte dispute tra separatisti filorussi e nazionalisti ucraini. E raccoglie i pezzi in attesa che il marito rialzi il muro e fissi una nuova finestra. Sposata con un separatista, che la sollecita a prendere il necessario e recarsi in un ospedale lontano dalla frontiera, lei rifiuta di abbandonare la casa e il 17 luglio sarà troppo tardi. Sorella di un nazionalista, sta per vivere il peggiore incubo della sua vita. Filorussi armati fino ai denti perlustrano il villaggio eliminando gli oppositori. Il marito ha avuto uno scontro col giovane cognato: lo ha ammanettato e nascosto in cantina. Gli armati entrano in casa, gli chiedono di uccidere una mucca per sfamare la truppa e lui esegue. Poi si allontanano e sembra tornare la pace, ma durante una nuova irruzione scoprono il prigioniero. Intuiscono che appartengono a due fazioni opposte e offrono una pistola affinché il separatista elimini l’altro.
Accolto da scroscianti applausi, cento minuti di cinema che riescono ad accattivarsi l’attenzione dello spettatore e spingono a una riflessione sulle convinzioni politiche che sfociano in guerre e rappresaglie. Sullo sfondo di un paesaggio sapientemente ripreso, gli attori, totalmente calati nei personaggi, infondono una sensazione di cinema verità.
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