Karlovy Vary International Film Festival 2019: giorno 6
Ultimi due film in concorso nella sezione ufficiale del 54° Karlovy Vary International Film Festival: To the Stars (Alle stelle) della statunitense Martha Stephens, e Oda sa wala (Ode al nulla) del filippino Dwein Baltazar.
Girato in bianco e nero e ambientato in un contesto rurale dell’Oklahoma anni Sessanta, il quarto film della trentacinquenne regista americana narra di una liceale timida, Iris, bistrattata dagli studenti, e difesa da una compagna battagliera, la cui amicizia le permette di acquistare fiducia. Maggie, infatti, le offre il passaggio per recarsi al liceo, e s’impone a studentesse pettegole e superficiali che tentano di mettere in imbarazzo Iris, che a sua volta prova il desiderio di emanciparsi dalla tutela della madre alcolizzata. Parallela alle schermaglie dei giovani, il film descrive la chiusura della società rurale di quegli anni. Basta un momento di smarrimento, che spinge Maggie tra le braccia di una vedova di guerra che gestisce un salone di bellezza, a scatenare un putiferio da parte degli uomini del paese che costringono la donna a lasciare l’Oklahoma. E anche Maggie sparisce. Dopo essere stata pesantemente redarguita in famiglia fa perdere le sue tracce. Perplessità e imbarazzo si diffondono tra gli abitanti, mentre Iris intuisce che l’amica se la caverà, si rende conto di essere maturata e trova un coetaneo che le vuole bene. Anteprima europea (è stato presentato al Sundance Film Festival) questa produzione indipendente mostra un interessante ventaglio di personaggi femminili, a partire dalle protagoniste, Kara Hayward e Liana Liberato, e ricrea le atmosfere machiste di un’epoca e di un luogo in un racconto che alla fine dei suoi 110 minuti di proiezione resta aperto.
Novanta minuti dura il terzo film del filippino Dwein Baltazar, composto in larga parte di scene fisse. Boccone prelibato per i cinefili, narra di Sonya, 44 anni, gerente di un’agenzia di pompe funebri, dove vive col padre, ma è sostanzialmente sola e piena di debiti e non esce quasi mai di casa. Il grigio tran tran quotidiano ha un svolta quando le portano il cadavere straziato di una donna. Le dicono di non conoscere la sua identità, le danno dei soldi e le chiedono di ricomporre e inumare la salma. Superate tante perplessità, Sonya compie il lavoro, ma invece di seppellire la sconosciuta, la distende sul suo letto matrimoniale, le dorme accanto e le parla. Situazione preoccupante che non turba più di tanto il padre rammollito, ma che manda su tutte le furie il proprietario che l’accusa di relazioni sessuali con la defunta e la mette alla porta. Per evidenziare la solitudine della protagonista, il regista progettava di girare il film in bianco e nero. Poi, parlando col fotografo Neil Daza ha optato per un monocromo, tra il colore del legno e il grigio dei defunti. Ne risulta una lenta sequela di interni che intervallano colloqui e dispute con i clienti con scene di ambito domestico e con momenti di calma follia quando Sonya attende risposte dalla defunta. Film da prendere o lasciare. C’è chi è stato catturato dall’imponderabile immaginazione del regista che è anche autore del testo, e chi ha espresso scetticismo.
Molto interessante l’esordio del trentacinquenne turco Serhat Karaaslan che nella sezione East of the West ha presentato Görülmü?tür (Il censore), 95 minuti sulla fissazione di un giovane agente di polizia di Istanbul, preposto a leggere e censurare le lettere spedite ai carcerati. Colpito dalla missiva di una giovane moglie al marito e dall’annessa fotografia di famiglia, Zakir riesce a individuare la donna durante le sue visite, intuisce che ha un rapporto burrascoso col consorte e prende l’abitudine di pedinarla. Con la complicità di un collega riesce anche ad ascoltare qualche conversazione e ne deduce che la donna è incinta e che è sotto tutela del suocero. Taciturno e pacato, Zakir finisce in paranoia. Il suo lavoro gli impone di prevenire atti di terrorismo scoprendo nelle lettere allusioni o suggerimenti di eventuali azioni. Lui invece s’è impantanato in una questione domestica e ne parla con i superiori. Donna e suocero vengono convocati, negano tutto e mettono agente e commissario in grande imbarazzo. Perfetti i silenzi e i comportamenti di Berkay Ates nei panni dell’agente, dai colloqui con l’anziana madre allo svicolare i sospetti dei colleghi, in un film teso, sorta di thriller psicologico, che tuttavia lascia trapelare che l’intuizione dell’agente non era del tutto errata.
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